Data: 13/07/2015 11:30:00 - Autore: Erminia Liccardo

Che la Magistratura rappresenti un servizio da sempre caratterizzato da neutralità e terzietà non è cosa nuova.

Ma che da questo possa giungersi all'abolizione di figure professionali, quali quelle dei giudici popolari, pensate e concepite proprio al fine di garantire una forma di partecipazione attiva del popolo all'amministrazione della giustizia, beh, il passo per fortuna non è così breve.

Le sempre più accese controversie delle quali si rende, suo malgrado, protagonista la giuria popolare rende opportuna un po' di chiarezza circa i limiti, le condizioni ed i campi di applicazione in cui viene ad operare il servizio svolto dai giudici popolari.

 

Imparzialità ed indipendenza: principi violati?

Le polemiche che coinvolgono il ruolo dei giudici popolari all'interno del nostro sistema giudiziario, cristallizzato nella legge del 10 aprile 1951, n. 28 che ne ha dato vita, provengono oggi da troppi anfratti: sono proprio esse ad alimentare il dibattito circa l'opportunità della presenza dei giudici popolari nei procedimenti in Corte d'Assise, e ciò a motivo dell'avvenuta pronuncia di numerose sentenze, dagli stessi emanate, additate come troppo “indulgenti” in alcuni casi o troppo “esemplari” in altri.

Forse, chi sostiene toni così accusatori, farà bene a ricordare come la nostra giustizia abbia sbandierato clamorosi fallimenti che, probabilmente, si sarebbero potuti evitare se solo i magistrati togati non avessero disatteso i principi di imparzialità ed indipendenza della magistratura consacrati agli artt. 101 e 104 della nostra Costituzione.

 

Giudici popolari: mansioni rubate alla giustizia?

Giova ricordare che l'istituzione dei giudici popolari è siglata nella storia del nostro sistema giudiziario sin dai suoi albori ed è figlia del dettato di cui all'art. 102 comma 3 Cost., secondo cui “la legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia”.

E, ancora, il terzo comma dell'art. 102 Cost. trae origine dall'art. 96 del progetto di Costituzione, che cita testualmente che “il popolo partecipa direttamente all'amministrazione della giustizia”.

Troppi, facendo riferimento ai giudici popolari, sembrano alludere ad una pretestuosa mancanza di competenza, imputabile, probabilmente, al fatto che essi abbiano fatto accesso all'ordine giudiziario senza concorso.

Giova però ricordare che l'esercizio della professione nel nostro sistema di giustizia da parte dei giudici popolari è opportunamente confinato alla mera partecipazione alle udienze insieme a due giudici togati: ne consegue che, il loro ruolo, resta relegato ad una collaborazione, sia pur attiva, alle decisioni contenute nelle sentenze.

Probabilmente, a chi da sempre immagina un ordinamento giudiziario dominato dalla figura di un giudice “qui agit omnia”, andrà stretto il ruolo dei giudici popolari, ma sarà bene rammentare che essi sono sempre e comunque funzionari a servizio dell'ordine giudiziario che agiscono direttamente in rappresentanza del popolo: in un sistema democratico come il nostro questo è il minimo che ci si possa attendere.

Erminia Liccardo


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