Data: 14/09/2015 12:00:00 - Autore: Lucia Izzo

La mediazione giudiziaria è un istituto di, tutto sommato, recente introduzione nel nostro ordinamento, che, come ogni novità, presenta elementi di criticità dei quali si discute.


Quella che illustreremo in questa sede, scevro da ogni giudizio personale, è la questione della terzietà del mediatore dalla quale ne discende l'incompatibilità con la qualità di rappresentante delle parti.

Le ipotesi di incompatibilità si rintracciano in diverse fonti, e la ratio sottesa a tale disciplina risiede nell'esigenza di garantire la sussistenza dei requisiti di terzietà e imparzialità dell'organismo di mediazione e dei suoi mediatori.

Il decreto ministeriale n. 139 del 4 agosto 2014 ha modificato il d.m. 180 del 2010 introducendovi un nuovo art. 14 bis rubricato “Incompatibilità e conflitti di interesse del mediatore”.

La norma chiarisce che il mediatore non può essere parte ovvero rappresentare o in ogni modo assistere parti in procedure di mediazione dinanzi all'organismo presso cui è iscritto o relativamente al quale è socio o riveste una carica a qualsiasi titolo; il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino la professione negli stessi locali.

La previsione normativa trova applicazione nel caso in cui il difensore del chiamato in mediazione sia mediatore presso quell'organismo ed opera anche nei confronti del difensore di fiducia della parte chiamata in mediazione, che rivesta al contempo la qualifica di mediatore presso l'organismo adito.

Il secondo comma dell'art. 14 bis aggiunge che non può assumere la funzione di mediatore colui il quale ha in corso, ovvero ha avuto negli ultimi due anni, rapporti professionali con una delle parti, o quando una delle parti è assistita o è stata assistita negli ultimi due anni da professionista di lui socio o con lui associato ovvero che ha esercitato la professione negli stessi locali.

A questi stessi soggetti, se hanno svolto l'incarico di mediatore, è fatto divieto di intrattenere rapporti professionali con una delle parti se non sono decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento.

In ogni caso costituisce condizione ostativa all'assunzione dell'incarico di mediatore la ricorrenza di una delle ipotesi di ricusazione degli arbitri previste dal codice di rito. Si tratta di un richiamo alla disciplina contenuta nell'art. 815 c.p.c. (primo comma, numeri da 2 a 6)

L'incompatibilità scatta anche qualora l'organismo si avvalga delle strutture, del personale e dei mediatori di altri organismi con i quali abbia raggiunto a tal fine un accordo, anche per singoli affari di mediazione (ex art.7, comma 2, lett. c, D.M. 180/2010). Appare evidente che in tali casi l'organismo “condivide”, tra l'altro, i mediatori di un altro organismo di mediazione che si trovano, pertanto, nella medesima posizione formale dei mediatori iscritti presso l'organismo “delegante”.


Per evitare una facile elusione della norma e garantire effettivamente la terzietà, l'indipendenza e l'equidistanza del mediatore rispetto alle parti in lite, la materia è sottratta alla libera disponibilità delle parti. Pertanto le parti in mediazione non potranno sottoscrivere accordi derogatori del divieto di cui all'art. 14 bis.

L'organismo di mediazione ha il potere di rifiutare eventuali istanze di mediazione, laddove gli avvocati delle parti siano iscritti, quali mediatori, presso l'organismo medesimo.

Questo potere-dovere (di rifiutare le istanze le istanze di mediazioni nelle quali si profilano ipotesi di incompatibilità di cui all'art. 14 bis) va riconosciuto all'organismo in considerazione della funzione di vigilanza e controllo che la normativa gli attribuisce.

Il nuovo codice deontologico forense (pubblicato sulla G.U. n. 241 del 16 ottobre 2014 e in vigore dal 15 dicembre dello stesso anno), ha recepito e trasfuso la disciplina legislativa nell'art. 62.


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