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Data: 21/07/2015 16:00:00 - Autore: Avv. Paolo Accoti Avv. Paolo Accoti - Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ribadisce il proprio orientamento per cui: “l'affidamento congiunto dei figli ad entrambi i genitori - previsto dalla legge sul divorzio, art. 6 (1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 11), analogicamente applicabile anche alla separazione personale dei coniugi - è istituto che, in quanto fondato sull'esclusivo interesse del minore, non fa venir meno l'obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che l'istituto stesso implichi, come conseguenza "automatica", che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze”. A seguito di sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale poneva a carico dell'ex marito, un assegno mensile pari ad Euro 1000,00 a titolo di contributo per il mantenimento dei due figli minori. Avverso la predetta sentenza di primo grado l'ex marito proponeva appello, deducendo l'equivalenza dei tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore evenienza che, a suo dire, imponeva l'eliminazione o, in via subordinata, la riduzione del contributo di mantenimento. Dopo il rigetto della domanda, da parte della Corte d'Appello di Genova, lo stesso proponeva ricorso per cassazione evidenziando come la corte territoriale avrebbe disatteso il principio secondo cui la previsione di un assegno periodico è correlata alla necessità di realizzare il principio di proporzionalità nei casi in cui vi siano delle sperequazioni nel mantenimento in via diretta da parte di ciascun genitore, per avere la stessa erroneamente determinato le posizioni reddituali di ciascuno dei genitori e che, comunque, nonostante la stabile coabitazione presso la madre, la corte non avrebbe tenuto conto dei periodi di pernottamento presso il padre. La Suprema Corte, con la sentenza resa in data 1/07/2015, n. 13504, ha disatteso le argomentazioni del ricorrente e rigettato, conseguentemente, il ricorso. Come accennato, il giudice di legittimità richiama i propri precedenti e, premesso come l'affidamento congiunto dei figli ad entrambi i genitori è istituto fondato sull'esclusivo interesse del minore, afferma come non esista un automatismo per il quale ciascuno di essi debba contribuire in maniera paritaria e diretta al mantenimento dei figli. In realtà occorre tenere conto delle loro esigenze di vita, con riferimento al contesto familiare e sociale di appartenenza, tanto è vero che, per consolidato orientamento della Suprema Corte: “In tema di separazione personale dei coniugi, l'affidamento condiviso dei figli minori, in quanto fondato sull'interesse esclusivo di questi ultimi, non elimina l'obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire alle esigenze di vita dei primi mediante la corresponsione di un assegno di mantenimento, ma non implica, come sua conseguenza "automatica", che ciascuno dei due genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze” (Cass. civ., 10/12/2014, n. 26060. Nello stesso senso: Cass. civ., 29/07/2011, n. 16376; Cass. civ., 18/08/2006 n. 18187) Fermo restando che l'obbligo di mantenimento dei figli, quand'anche maggiorenni ma non indipendenti economicamente, deve essere valutato caso per caso, con prudente apprezzamento, ma sempre con criteri rigorosamente proporzionali che tengano conto dell'età dei beneficiari e delle circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo. Nondimeno detto obbligo non può essere protratto sine die, atteso che lo stesso non può superare ragionevoli limiti di tempo e di misura, in considerazione del fatto che il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni, sempre che le stesse siano compatibili con le condizioni economiche dei genitori (Cfr.: Cass. civ., 20/08/2014, n. 18076). Ma fino a dove si estende detto dovere? “Il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, stabilito dall'art. 147 cod. civ., obbliga i coniugi a far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione - fino a quando la loro età lo richieda - di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione. Tale principio trova conferma nel nuovo testo dell'art. 155 cod. civ., come sostituito dall'art. 1 legge 8 febbraio 2006, n. 54, il quale, nell'imporre a ciascuno dei coniugi l'obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell'assegno, oltre alle esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza e le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti” (Cass. civ., 10/07/2013, n. 17089). A tanto va senz'altro aggiunto come il genitore presso il quale la prole è “collocata”, in considerazione del più ampio tempo di permanenza presso lo stesso, avrà il diritto, ma anche la necessità, di gestire - almeno in parte - il contributo al mantenimento versato dall'altro genitore. Ciò in ragione del fatto che lo stesso sarà chiamato a provvedere in misura più ampia alle spese correnti e all'acquisto di beni durevoli che non attengono necessariamente alle spese straordinarie, quali indumenti, libri, ecc. (Cfr.: Cass. civ., 4/11/2009, n. 23411). Avv. Paolo Accoti |
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