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Data: 21/07/2015 12:30:00 - Autore: Lucia Izzo L'art. 572 del codice penale, rubricato "Maltrattamenti contro familiari e conviventi", prevede la pena della reclusione da due a sei anni per "chiunque (...) maltratta una persona della famiglia o comunque convinvente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte". La Corte di Cassazione, sez. VI Penale, con la sentenza 30903/2015 ha tuttavia precisato che affinché sia applicabile tale statuizione normativa, è necessario accertare lo stato di soggezione e inferiorità psicologica della vittima. Nel caso sottoposto al vaglio della Corte, l'imputato si vedeva condannato in primo grado alla pena di un anno, quattro mesi e 20 giorni di reclusione, poi confermata in Appello. La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto di accogliere i motivi di doglianza sollevati con riguardo all'accertamento dello stato di soggezione ed inferiorità psicologica del soggetto passivo ai fini dell'applicazione dell'art. 572 c.p.. Gli ermellini richiamano il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la fattispecie dei maltrattamenti in famiglia si realizza laddove sussista una "condotta abituale che si estrinsechi con più atti che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o morale del soggetto passivo infliggendogli abitualmente tali sofferenze". Per tali ragioni, si ritiene che la materialità del fatto non possa rinvenirsi in "singoli e sporadici episodi di percosse o lesioni" né tanto meno in un precedente specifico, poiché il reato di maltrattamenti in famiglia si caratterizza per l'abitualità del comportamento lesivo realizzato tramite "una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili (...), ovvero non perseguibili (...)" di cui, tuttavia, la cui reiterazione del tempo ne determina la rilevanza penale. Singoli episodi di lesione o minaccia dell'incolumità personale, della libertà o dell'onore di una persona della famiglia, conservano un'autonoma rilevanza quali reati contro la persona, ma solo se integranti "una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile" potranno essere valutati ai sensi dell'art, 572 c.p. Non emergendo ragioni che dimostrino l'abitualità della condotta entro una precisa estensione temperale, e neppure "lo stato di soggezione ed inferiorità psicologica che si sarebbe venuto a determinare nella vittima quale effetto degli atti di prevaricazione sistematicamente commessi dal soggetto attivo", non si rinviene la fattispecie dei maltrattamenti contro familiari e conviventi. |
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