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Data: 27/07/2015 18:00:00 - Autore: Prof. Luigino Sergio SOMMARIO: 1. Fatto e diritto. 2. La natura giuridica dell'orientamento ANAC. 3. Il principio di legalità. 4. La sospensione condizionale della pena. 5. L'orientamento dell'ANAC n. 54 del 3 luglio 2014 sull'inconferibilità di incarichi in caso di condanna anche non definitiva per reati contro la p.a. 6. Conclusioni. Prof. Luigino Sergio 1. Fatto e diritto: La presente nota prende spunto da un quesito posto da un dirigente di un Comune di circa 90 mila abitanti, comandante della Polizia Municipale nonché responsabile dell'anticorruzione dell'ente dove presta servizio; Comune, per inciso, balzato agli onori della cronaca in questi giorni, poiché il suo Sindaco è stato sottoposto all'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare, per gli ipotizzati reati di concussione, corruzione e induzione indebita a dare o promettere utilità. Il quesito sottopostomi viene interamente riportato infra: «Egr. Professore, […] avendo letto le Sue recensioni circa l'applicabilità del d.lgs. n. 39 del 2013 a personale dirigente condannato in primo grado con sospensione e non menzione della pena e tenendo conto dell'orientamento ANAC in tale specifica vicenda, Le chiedevo se fosse a conoscenza di qualche circolare o parere del Ministero della semplificazione e pubblica amministrazione in relazione all'argomento specifico (io purtroppo non ne ho trovate), posto che il novellato art. 16, comma 3 del succitato decreto evidenzia come il ministero in questione sia competente a dirimere con circolari e pareri le questioni interpretative di specie. Le sarei grato, qualora ne fosse a conoscenza, se volesse illuminarmi in merito. La ringrazio anticipatamente». Il quesito di cui sopra fa seguito ad un altro caso meno recente, ma simile nella sostanza rispetto a quello prospettato, concernente il Comune di Martignano (LE) ovvero l'emanazione di una sentenza di condanna non definitiva pronunciata dal Tribunale di Lecce nei confronti di un dipendente del Comune (Cat. D3 e responsabile di servizio ex art. 109 TUEL) per il reato di cui all'art. 323 c.p. con la concessione del beneficio della non menzione e della sospensione condizionale della pena; Comune quello in provincia di Lecce che nel 2013 sull'accaduto ha tempestivamente interessato la CIVIT, a quel tempo Autorità Nazionale Anticorruzione, la quale, invece, sul punto, non ha dato evidente dimostrazione del rispetto di alcuni basilari principi dell'amministrazione pubblica: buon andamento; efficacia ed efficienza; ragionevolezza; semplicità; speditezza; tempestività che si arguisce da quanto segue. Infatti con nota del 19 settembre 2013, il Vice Sindaco del Comune di Martignano (LE), aveva interpellato la Commissione indipendente per la Valutazione la trasparenza e l'Integrità delle amministrazioni pubbliche – Autorità Nazionale Anticorruzione, richiedendo un parere in ordine all'applicazione dell'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013. La CIVIT con nota n. 5701/2013, ad oggetto: “Nota del 19 settembre 2013 - Parere in ordine all'applicazione dell'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013”, ha comunicato al Vice Sindaco del Comune di Martignano (LE) che: «Con riferimento alla nota in oggetto la Commissione, nella seduta del 16 ottobre 2013, ha rilevato che la formulazione del quesito richiede la soluzione della questione dell'efficacia nel tempo della normativa e in particolare se si debba o meno applicare l'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013 nel caso di sentenza non definitiva pronunciata anteriormente alla data del 4 maggio 2013 (data di entrata in vigore del d.lgs. n. 39/2013), nonché della questione della rilevanza, ai fini della inconferibilità, delle sentenze di condanna che non abbiano irrogato l'interdizione dai pubblici uffici nonché di quella delle conseguenze della sospensione condizionale della pena. La Commissione, pertanto, ritenendo che la soluzione dei problemi delineati non può prescindere da una interpretazione generale, ai sensi delle modifiche introdotte all'art. 16, comma 3 del d.lgs. n. 39/2013, ha deciso di trasmettere la nota al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, perché valuti l'opportunità di tenerne eventualmente conto in sede di adozione delle direttive e delle circolari concernenti l'interpretazione e l'applicazione delle disposizioni del suindicato decreto. Firmato Antonella Bianconi». La CIVIT ha successivamente trasmesso la nota n. 8650/2013 che si riporta: «Da Segreteria CIVIT a Comune di Martignano (LE), prot. n. 8650 del 24/09/2013. Si comunica che la Commissione, nelle sedute dell'11 e del 12 settembre 2013, visto il testo del novellato articolo 16, comma 3 del d.lgs. n. 39/2013, ha deliberato di trasmettere al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione la Vs. richiesta di parere». Fto. Antonella Bianconi Segretario Generale CiVIT Autorità Nazionale Anticorruzione Tel. 06 68409114 -112 Fax 06 6834039 Piazza Augusto Imperatore 32 - 00186 Roma». A tale specifico quesito posto dal Comune di Martignano (LE) l'Autorità Nazionale Anticorruzione (a quel tempo CIVIT) non ha mai fornito puntuale risposta; fatto che ha indotto il Comune di Martignano ha inoltrare un quesito a “Leggi d'Italia” (www.entilocali.leggiditalia.it) e che interamente riporto, infra, assieme alla risposta a cura di Grazia Vivarelli: «Quesito: «L'art. 166 c.p. stabilisce che “La condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione, né d'impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge, né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa”; si chiede di sapere se l'inconferibilità di incarichi pubblici dirigenziali, di cui all'art. 3 del d.lgs. 08-04-2013, n. 39, in ipotesi di condanna penale non definitiva per presunto abuso d'ufficio, ex art. 323 c.p., trovi o meno applicazione anche nei confronti di personale interno, nelle ipotesi di condanna con sospensione condizionale della pena e non menzione nel casellario giudiziario». Risposta al quesito: «L'art. 3 del d.lgs. 08-04-2013, n. 39 sotto la rubrica “Inconferibilità di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione” stabilisce che: 1. A coloro che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, non possono essere attribuiti: a) gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali; b) gli incarichi di amministratore di ente pubblico, di livello nazionale, regionale e locale; c) gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello nazionale, regionale e locale; d) gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico, di livello nazionale, regionale e locale; e) gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali del servizio sanitario nazionale. L'art. 166 c.p. stabilisce che “La condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione, né d'impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge, né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa”. Si ritiene che, poiché occorre preferirsi un'interpretazione in bonam partem, trattandosi comunque di effetti derivanti da condanna penale, deve ritenersi che l'art. 3 del d.lgs. 08-04-2013, n. 39, in combinato disposto con l'art. 166 c.p., non autorizza l'effetto ostativo al conferimento di incarichi dirigenziali in caso di condanna anche non definitiva per abuso d'ufficio a pena condizionalmente sospesa. Infatti, l'art. 166 c.p. fa salvi i casi specificatamente previsti dalla legge, tra cui non possono farsi rientrare le ipotesi previste dall'art. 3 L. cit. che non prevede espressamente una deroga all'art. 166 c.p.. A tal proposito, infatti, si consideri che quando il Legislatore ha inteso derogare al principio espresso dall'art. 166 c.p., lo ha fatto espressamente. Così, ad esempio, in materia di effetti ostativi all'elettorato, la Cass. civ. Sez. I, 01-12-2011, n. 25732 ha stabilito che “La pena accessoria della privazione dei diritti elettorali, conseguente alla commissione del delitto di turbativa delle elezioni politiche ed amministrative, rimane efficace anche quando sia stata disposta la sospensione condizionale della pena detentiva inflitta, atteso che il principio dell'estensione del beneficio alla pena accessoria, stabilito in via generale nell'art. 166 cod. pen., è stato espressamente derogato, con riferimento ai reati elettorali, dall'art. 2, comma secondo, del D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223, come sostituito dall'art. 1 della Legge 16 gennaio 1992, n. 15 ai sensi del quale “la sospensione condizionale della pena non ha effetto ai fini della privazione del diritto di elettorato”. Conclusivamente, possono conferirsi incarichi dirigenziali interni ed esterni in caso di condanna anche non definitiva per abuso d'ufficio, a pena sospesa in via condizionale». Riferimenti normativi e contrattuali Art. 166, c.p. Art. 323, c.p. d.lgs. 08-04-2013, n. 39, art. 3 Riferimenti di giurisprudenza Cass. civ. Sez. I, 01-12-2011, n. 25732 Successivamente l'ANAC, divenuta nel frattempo Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha emanato l'Orientamento n. 54 del 03 luglio 2014, evidenziando che: «Non rileva ai fini dell'inconferibilità di incarichi in caso di condanna, anche non definitiva, per reati contro la pubblica amministrazione, ex art. 3 del d.lgs. n. 39/2013, la concessione della sospensione condizionale della pena (Corte Cost., 31 marzo 1994, n. 118; Corte Cost., 3 giugno 1999, n. 206)». 2. La natura giuridica dell'orientamento ANAC: In senso figurato l'orientamento consiste, «nell'avviare e guidare per una determinata via; indirizzo dato a persone o cose, o da esse seguito per raggiungere un determinato scopo […]»1. L'orientamento, in senso strettamente giuridico, si inquadra nella funzione ausiliaria della p.a. e cioè nella funzione consultiva che la stessa svolge nei confronti dei soggetti interessati ovvero nella funzione consulenziale, prodromica alla decisione che l'amministrazione attiva sarà chiamata ad assumere. Ciò detto e nel caso di specie, l'orientamento è un atto che l'ANAC emana al fine di consentire alla p.a. attiva interessata di poter assumere un provvedimento amministrativo; un atto inquadrabile nel genus dei pareri. Nella categoria di specie i pareri sono in maniera tradizionale tripartiti: facoltativi; obbligatori; vincolanti. L'orientamento che l'ANAC esprime è inquadrabile nella categoria del parere facoltativo e non vincolante; facoltativo in quanto la stessa p.a. attiva può e non deve richiedere all'Autorità Nazionale Anticorruzione pareri preventivi, finalizzati all'assunzione di proprie decisioni amministrative pur non avendone l'obbligo, come invece avviene nel caso del parei obbligatorio; non vincolante è stato detto, in quanto la p.a. decidente, una volta richiesto ed ottenuto il parere de quo,non deve obbligatoriamente uniformarsi ad esso, potendo assumere una decisione distonica rispetto al parere acquisito, purché motivatamente, tenendo comunque ben presente che la giustificazione deve essere assai forte, potendo il mancato rispetto del parere emanato, a volte, ripercuotersi sulla legittimità del provvedimento assunto e determinare anche eventuali responsabilità del soggetto giuridico che ha assunto il provvedimento amministrativo finale. Tutto ciò, del resto, è confermato dalla stessa ANAC; infatti nella Relazione annuale 2014 che questa ha reso alla Camera dei Deputati il 2 luglio 2015, si legge che in materia di prevenzione della corruzione «[…] l'ANAC formulava, dopo la modifica dell'art. 16 del d.lgs. 39/2013, disposta dal d.l. n. 69/2013, pareri obbligatori su direttive e circolari emanate dal Ministro per la Semplificazione e la pubblica amministrazione e si esprimeva su questioni singole, anche alla luce di una nota dello stesso DFP; [pareri obbligatori] sugli atti di direttiva e di indirizzo, nonché sulle circolari del Ministro per la Semplificazione e la pubblica amministrazione in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai Codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico; [pareri facoltativi] in materia di autorizzazioni - di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 e successive modificazioni - allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali, con particolare riferimento all'applicazione del comma 16-ter, introdotto dall'art. 1, comma 42, lett. l), della legge n. 190/2012; mentre è la stessa ANAC a ritenere l'orientamento non vincolante, a differenza dei casi nei quali l'ANAC è tenuta per legge ad esprimere un parere con valenza endoprocedimentale (cfr. parere per la nomina dell'OIV ex art. 14 d.lgs. n. 150/2009). Conferma questa conclusione la verifica dei compiti assegnati ad ANAC dalla normativa vigente in materia di trasparenza (art. 45 d.lgs. n. 33/2013. Gli orientamenti dettati dall'ANAC si inseriscono, dunque, in quella più ampia attività di consulenza di cui l'ANAC stessa ha ampiamente dato conto nella relazione sull'attività 2013; del resto l'ANAC dispone di un potere d'ordine e se avesse voluto agire nel senso dell'obbligatorietà dei contenuti dell'orientamento lo avrebbe detto. Proprio il potere d'ordine che ha l'ANAC evidenzia, a contrario, la natura di parere dell'orientamento; potere d'ordine enucleato nella deliberazione ANAC n. 146 del 18 novembre 2014 in materia di esercizio del potere di ordine nel caso si mancata adozione di atti o provvedimenti richiesti dal piano nazionale anticorruzione e dal piano triennale di prevenzione della corruzione nonché dalle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa o nel caso di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza citati (articolo 1, comma 3, della legge 6 novembre 2012, n. 1909, la quale, tra l'altro, prevede che: «[…] l'Autorità […] ordina l'adozione di atti o provvedimenti richiesti dal piano nazionale anticorruzione e dai piani di prevenzione della corruzione delle singole amministrazioni e dalle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa previste dalla normativa vigente, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza [e riguardo alla natura e fondamento del potere d'ordine] si tratta in primo luogo che esprime pienamente la funzione e di vigilanza dell'Autorità […] potere che non ha contenuto sanzionatorio, ma è volto ad assicurare, in modo tempestivo, il rispetto della legge […] ai fini della prevenzione della corruzione e della garanzia del principio di trasparenza […]». Conclusivamente si ritiene, per le considerazioni espresse che l'orientamento non può avere e non ha carattere di vincolatività, né appare supportato da pronunce giurisprudenziali oppure dal richiamo di del mancato rispetto di legislazione. 3. Il principio di legalità: Il principio di legalità viene inteso come quello che obbliga la p.a. ad agire solo nel solco della legge e attraverso gli atti da essa previsti ed è un principio centrale dello Stato di diritto, all'interno del quale tutte le pp.aa. «[…] non sono legibus solutae: come qualsiasi altro soggetto giuridico, sono tenute al rispetto della legge […]2. Il principio di legalità è considerato nei termini di non contraddittorietà dell'atto amministrativo rispetto alla legge (preferenza della legge) che permette alla p.a. di compiere un'attività che non sia vietata dalla legge (conformità formale) e di agire non soltanto entro i limiti di legge, ma anche in conformità della disciplina sostanziale posta dalla legge stessa (conformità sostanziale). Ciò detto è del tutto evidente che la legge non può prevedere e disciplinare tutte le fattispecie, fatto per cui è necessario che vi debba essere uno spazio nel quale la p.a. possa fare le proprie valutazioni, rimanendo comunque all'interno della cornice giuridica costruita dalla legge, debordando dalla quale la p.a. versa in eccesso di potere poiché il potere è conferito alla p.a. dalla legge e solamente dalla legge. Il principio di legalità è richiamato dalla legge n. 241/1990 Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, art. 1, comma 1, il quale dispone che: «L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princìpi dell'ordinamento comunitario». Con riguardo ai rapporti tra legge e attività amministrativa si richiama il principio del giusto procedimento, elaborato dalla Corte Costituzionale (Sent. n. 13/1962), il quale «esprime l'esigenza che, nel caso di incisione di diritti, vi sia una distinzione di diritti, vi sia una distinzione tra il disporre in astratto con legge e il provvedere in concreto con atto alla stregua della disciplina astratta, mettendo i privati interessati in condizioni di esporre le proprie ragioni sia a tutela del proprio interesse, sia a titolo di collaborazione nell'interesse pubblico»3. La Costituzione del nostro Paese non contiene una formulazione espressa del principio di legalità anche se ad esso si fa riferimento indiretto in diversi articoli: in particolare nell'art. 23 Cost. il quale prevede che «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base a una legge». Mentre parte della dottrina si è espressa per la tesi della costituzionalizzazione implicita del principio di legalità, la giurisprudenza costituzionale lo ha ritenuto un principio generale dell'ordinamento, ancorché non costituzionalizzato. In ambito penale il principio di legalità si trova espresso nell'art. 25, comma 2 Cost., nell'art. 1 c.p. e nell'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali4. L'art. 25, comma 2 Cost. prevede che: «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso»; l'art. 1 del c.p. dispone che: «nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite»; l'art. 7, comma 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali annuncia che: «nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso». Di conseguenza nel diritto penale la materia delle fonti è dominata dal principio “nullum crimen, nulla poena sine lege”; principio che è denominato di stretta legalità, già sancito dallo Statuto albertino del 1848, all'art. 26, il quale disponeva che: «la libertà individuale è guarentita. Niuno può essere arrestato, o tradotto in giudizio, se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme ch'essa prescrive». Secondo autorevole dottrina «il principio di legalità ha come destinatari sia il legislatore sia il giudice e si articola in quattro sotto-principi […] 1) riserva di legge; 2) tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie penale; 3) irretroattività della legge penale; 4) divieto di analogia in materia penale»5. 4. Sospensione condizionale della pena: La sospensione condizionale della pena è una causa di estinzione della punibilità il cui scopo specifico «è non solo di sottrarre all'ambiente deleterio del carcere persone che, pur essendosi rese colpevoli di un reato, presentano probabilità di ravvedimento, ma anche di costituire un'efficace remora a violare ulteriormente la legge»6. L'istituto della sospensione della pena è riportato nel codice penale negli artt. 163-168 nei quali molto in sintesi è detto che viene inflitta la condanna conseguente alla commissione di un delitto, anche se viene sospesa la sua esecuzione per un determinato lasso temporale, con l'avviso che se il reo compie entro tale periodo un nuovo delitto o contravvenzione avente la medesima indole punita con l'arresto, viene eseguita la pena inflitta, mentre in caso contrario la condanna non provoca l'espiazione della pena. Ai sensi dell'art. 163 c.p. «nel pronunciare sentenza di condanna alla reclusione o all'arresto per un tempo non superiore a due anni, ovvero a pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e ragguagliata a norma dell'articolo 135, sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a due anni, il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di cinque anni se la condanna è per delitto e di due anni se la condanna è per contravvenzione. In caso di sentenza di condanna a pena pecuniaria congiunta a pena detentiva non superiore a due anni, quando la pena nel complesso, ragguagliata a norma dell'articolo 135, sia superiore a due anni, il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena detentiva rimanga sospesa»; mentre ai sensi dell'articolo 164 c.p. «La sospensione condizionale della pena è ammessa soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'articolo 133, il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati. La sospensione condizionale della pena non può essere conceduta: 1) a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione (178) né al delinquente o contravventore abituale (102 ss.) o professionale (105); [2) allorché alla pena inflitta deve essere aggiunta una misura di sicurezza personale, perché il reo è persona che la legge presume socialmente pericolosa.] La sospensione condizionale della pena rende inapplicabili le misure di sicurezza, tranne che si tratti della confisca (240). La sospensione condizionale della pena non può essere concessa più di una volta. Tuttavia il giudice, nell'infliggere una nuova condanna, può disporre la sospensione condizionale qualora la pena da infliggere, cumulata con quella irrogata con la precedente condanna anche per delitto, non superi i limiti stabiliti dall'articolo 163»7. Ai sensi dell'art. 165 c.p. «La sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull'ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; può altresì essere subordinata, salvo che la legge disponga altrimenti, all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna. La sospensione condizionale (163) della pena, quando è concessa a persona che ne ha già usufruito (164), deve essere subordinata all'adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente. La disposizione del secondo comma non si applica qualora la sospensione condizionale della pena sia stata concessa ai sensi del quarto comma dell'articolo 163». Il reato si estingue «e, nei termini stabiliti, il condannato non commette un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, e adempie gli obblighi impostigli, il reato è estinto (198). In tal caso non ha luogo la esecuzione delle pene Il giudice nella sentenza stabilisce il termine entro il quale gli obblighi devono essere adempiuti» (art. 167 c.p.); mentre la sospensione della pena può essere revocata ai sensi dell'art. 168 c.p. il quale prevede che: «salva la disposizione dell'ultimo comma dell'articolo 164, la sospensione condizionale della pena è revocata di diritto (cpp 674) qualora, nei termini stabiliti, il condannato: 1) commetta un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole, per cui venga inflitta una pena detentiva, o non adempia agli obblighi impostigli; 2) riporti un'altra condanna per un delitto anteriormente commesso a pena che, cumulata a quella precedentemente sospesa, supera i limiti stabiliti dall'articolo 163. Qualora il condannato riporti un'altra condanna per un delitto anteriormente commesso, a pena che, cumulata a quella precedentemente sospesa, non supera i limiti stabiliti dall'articolo 163, il giudice, tenuto conto dell'indole e della gravità del reato, può revocare l'ordine di sospensione condizionale della pena. La sospensione condizionale della pena è altresì revocata quando è stata concessa in violazione dell'articolo 164, quarto comma, in presenza di cause ostative. La revoca è disposta anche se la sospensione è stata concessa ai sensi del comma 3 dell'articolo 444 del codice di procedura penale». Sulla rinunziabilità del beneficio e sull'impugnabilità della sentenza che lo abbia concesso con pregiudizio per l'imputato persiste in giurisprudenza un contrasto poiché alcune pronunce accolgono una soluzione negativa sostenendo che l'imputato no solo non può disporre di tale beneficio, ma una volta non può ad esso rinunciare, né impugnare la statuizione concessiva neppure in presenza di provvedimento di indulto8; altre pronunce, invece, hanno ritenuto che il condannato ha il diritto o l'interesse di rifiutare o far revocare la sospensione condizionale concessa a seguito di condanna a pena non ostativa alla reiterazione del beneficio9. Per quello che qui interessa, l'art. 166 c.p. già riportato ampiamente supra, rubricato effetti della sospensione, dispone che: «La sospensione condizionale della pena si estende alle pene accessorie. La condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione, né d'impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge, né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa». Ad avviso del TAR Sez. II Roma, ud. 02/10/2013, dep. 08/10/2013, n. 8696 che si è espresso a seguito di ricorso proposto da un candidato con il quale l'interessato impugna l'atto di proclamazione degli eletti alla carica di componente dell'Assemblea capitolina di Roma capitale, emanato dall'ufficio centrale elettorale in data 12.06.2013, nella parte in cui esso dichiara l'incandidabilità del medesimo e proclama eletto in sua sostituzione altro candidato; il tutto in quanto il competente Ufficio Centrale Elettorale ne ha accertato «l'incandidabilità ai sensi degli artt. 10 comma 1 lettera e) e 12 del decreto legislativo 31/12/2012 n. 235, per aver riportato condanna alla pena della reclusione di anni due a seguito della sentenza della Corte di Appello di Roma del 6/6/1996 divenuta irrevocabile 23/07/1996». Ricorso proposto al fine dell'ottenimento dell'annullamento di tale atto e la conseguente proclamazione del ricorrente, con il quale si evidenziava che «la condanna in questione era stata pronunciata con i benefici - mai revocati - della non menzione e della sospensione condizionale della pena» e che faceva valere la previsione dell'art. 166, comma 2 c.p., secondo cui «la condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo [...] di impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge [...]». Secondo i giudici amministrativi «[…] la censura è infondata per una ragione fondamentale: essa presuppone che la nozione di “posti di lavoro pubblici” copra, nella sua ampiezza, anche gli uffici pubblici elettivi. Ma questa interpretazione va disattesa, in quanto questi ultimi sono uffici onorari che non configurano alcun rapporto di lavoro tecnicamente inteso (e come tale oggetto di apposita tutela costituzionale) […]». In materia si è espresso anche il Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sez. IV, 06/06/2008, n. 2678) a seguito di ricorso con il quale è stato proposto appello per la riforma, previa sospensione dell'efficacia, della sentenza n. 10868 del 23 ottobre 2006, emessa dal Tar Lazio -Roma - sez. I-bis con la quale è stato rigettato il ricorso di primo grado proposto per l'annullamento del decreto 12 aprile 2006 n. 142, con cui il Ministero della Difesa-Direzione Generale per il Personale Militare, aveva dichiarata la decadenza dall'arruolamento quale Volontario in Forma Breve nella Marina Militare, per violazione dell'art. 166 c.p. e dell'art. 445 c.p.c. . Con l'appello proposto ed in esame, il ricorrente si duoleva che il giudice di primo grado non aveva minimamente tenuto conto che egli è stato condannato a) su concorde richiesta delle parti; b) alla pena di soli € 1549, 20; e che l'esecuzione della stessa è stata sospesa dal Giudice penale ai sensi dell'art. 166 c.p.p. a mente del quale «la condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso di per sé sola motivo di impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici». Secondo il Consiglio di Stato «Il motivo d'appello in esame è fondato. Come già evidenziato da questa Sezione nell'ordinanza n. 3630/2007, la citata disposizione «sembra privilegiare il diritto costituzionale al lavoro rispetto alla tutela degli interessi dell'amministrazione" (Cfr. Cons. Stato Sez. VI n. 3084/01). È dunque censurabile il provvedimento impugnato che attribuisce alla sentenza penale di condanna patteggiata dal […] effetti automatici in ordine all'accesso a posti di lavoro pubblici, senza considerare in alcun modo gli effetti dell'applicata sospensione condizionata della pena. PQM il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo accoglie e per l'effetto in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado. Condanna l'amministrazione appellata al pagamento delle spese processuali […]». 5. L'orientamento dell'ANAC n. 54 del 3 luglio 2014 sull'inconferibilità di incarichi in caso di condanna anche non definitiva per reati contro la p.a.: Come già visto supra, l'orientamento n. 54/2014 dell'ANAC sostiene che: «non rileva a i fini dell'inconferibilità di incarichi in caso di condanna, anche non definitiva, per i reati contro la pubblica amministrazione, ex art. 3 del d.lgs. n. 39/2013, la concessione della sospensione condizionale della pena (Corte Cost., 31 marzo 1994, n. 118; Corte Cost., 3 giugno 1999, n. 206). Secondo l'orientamento in commento (orientamento comunque non vincolante, lo si ribadisce) in caso di condanna, anche non definitiva, occorsa per i reati contro la pubblica amministrazione, vi è, ad avviso dell'ANAC, l'inconferibilità di incarichi, pur in presenza del beneficio della sospensione condizionale della pena. L'ANAC basa tale assunto su due sentenze della Corte Costituzionale riportate nel medesimo orientamento: la n. 118/1994 e la n. 206/199 che è necessario analizzare, per comprendere la ratio dell'ANAC sottesa al suddetto orientamento n. 54/2014. La Sentenza della Corte Costituzionale n. 118/1994 è la conseguenza dell'ordinanza del 26 febbraio 1993, con la quale la Corte di appello di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25 e 51 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), il quale ha sostituito i primi quattro commi dell'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), contenente un'ampia disciplina in tema di eleggibilità e, in genere, di capacità di assumere e mantenere cariche di varia natura nelle regioni, nelle province, nei comuni ed in altri organismi di autonomia locale. Il caso di specie riguarda la dichiarazione di decadenza dalla carica di consigliere comunale (cui era stato eletto nel 1990) di un avvocato, condannato con sentenza 25 maggio 1988 (passata in giudicato per effetto della sentenza 13 dicembre 1989 della Corte di cassazione) per il reato previsto e punito dall'art. 318 del codice penale (Corruzione per un atto d'ufficio)10. Il giudice a quo, premesso che la legge in esame deve indubbiamente essere interpretata nel senso della sua immediata operatività, censura, in particolare, la norma impugnata nella parte in cui dispone che la decadenza di diritto da una serie di cariche elettive (indicate nel medesimo articolo), conseguente a sentenza di condanna passata in giudicato per determinati reati (pure ivi previsti), operi anche in relazione alle consultazioni elettorali svoltesi prima dell'entrata in vigore della legge medesima ed a reati commessi anch'essi prima di tale data. Ad avviso del giudice remittente, la normativa censurata si pone in contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, in quanto la decadenza costituisce comunque - a prescindere dall'esatta individuazione della sua natura - una sanzione, e quindi una “punizione” irrogata in forza di una legge entrata in vigore dopo la commissione del fatto; con l'art. 51, primo comma, della Costituzione, poiché l'accesso alla carica elettiva viene vanificato da una legge introdotta successivamente; infine, con l'art. 3 della Costituzione, “sotto il particolare aspetto dell'eguaglianza delle condizioni personali”. La Corte Costituzionale, comunque, «dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 51, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di Torino» con la sua ordinanza. La Sentenza della Corte Costituzionale del 3 giugno 1999, n. 206, riguarda, invece, il giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 15, comma 4-septies, della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), come sostituito dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), promosso con ordinanza emessa il 7 aprile 1998 dal TAR per la Sicilia. Nel caso di specie il giudizio è stato promosso per l'impugnazione di un decreto rettorale di sospensione cautelare dal servizio di un professore universitario, rinviato a giudizio per i reati di corruzione e concorso esterno in associazione mafiosa; il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in relazione agli articoli 3, 4, 24, secondo comma, 27, secondo comma, 35, 36 e 97, secondo (recte: primo) comma della Costituzione, dell'art. 15, comma 4-septies, della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), come sostituito dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16. La disposizione impugnata stabilisce che i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, i quali abbiano riportato condanna, anche non definitiva, per determinati delitti, ovvero siano stati rinviati a giudizio per taluni delitti, ovvero siano assoggettati ad una misura di prevenzione, anche non definitiva, in quanto indiziati di appartenere ad una associazione di stampo mafioso, sono sospesi immediatamente dall'ufficio ad opera del capo dell'amministrazione di appartenenza. La Corte Costituzionale dichiara non fondata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, comma 4-septies, della legge 19 marzo 1990, n. 55, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 4, 24, secondo comma, 27, secondo comma, 35, 36 e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia con l'ordinanza in epigrafe. La Suprema Corte, nella sentenza n. 206 del 1999, in relazione alla legittimità costituzionale dell'automatismo della sospensione cautelare a carico dei dipendenti pubblici previsto dall'art. 15, comma 4-septies della L. n. 55/1990, ritiene che tale misura sia preposta al soddisfacimento di particolari «esigenze cautelari di natura tutt'affatto diversa rispetto a quelle che costituiscono il fondamento delle misure adottabili dal giudice nel corso del procedimento penale, ancorché il contenuto della misura possa per avventura coincidere (è il caso della misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, disciplinata dall'art. 289 cod. proc. pen.). Il giudice delle leggi sottolinea, a tal proposito, che mentre le misure adottabili dall'autorità giudiziaria rispondono alle esigenze del processo e della prevenzione di nuovi reati e, quindi, sono assoggettate alle condizioni relative a tali scopi (artt. 273 e 274 c.p.p.)11, la sospensione cautelare in esame risponde ad esigenze proprie della funzione amministrativa e della pubblica amministrazione presso cui il soggetto colpito presta servizio. «Essa é svincolata da esigenze processuali e da finalità di prevenzione speciale, ed é disposta con un provvedimento dell'amministrazione, sia pure, nella specie, vincolato dalla legge (e sottoposto, com'é ovvio, a controllo giurisdizionale per quanto riguarda la sua rispondenza ai presupposti legalmente stabiliti)». L'esigenza cautelare è collegata alla pendenza dell'accusa in capo al dipendente, la quale mette a repentaglio interessi connessi alla p.a., esposta ad un pregiudizio direttamente derivante dalla permanenza del soggetto inquisito nell'ufficio. Sostiene la Suprema Corte che «Il pregiudizio possibile concerne in particolare la “credibilità” dell'amministrazione presso il pubblico, cioè il rapporto di fiducia dei cittadini verso l'istituzione, che può rischiare di essere incrinato dall'”ombra” gravante su di essa a causa dell'accusa da cui é colpita una persona attraverso la quale l'istituzione stessa opera». Conclusivamente il giudizio prognostico dell'ANAC si basa su due Sentenze della Corte Costituzionale; la prima (n. 118/1994) che riguarda la dichiarazione di decadenza dalla carica di consigliere comunale condannato con sentenza passata in giudicato per il reato previsto e punito dall'art. 318 del codice penale (Corruzione per un atto d'ufficio) e che non attiene affatto alla condanna penale con sospensione della pena; la seconda Sentenza della Suprema Corte (n. 206/1999) concerne il giudizio promosso per l'impugnazione di un decreto rettorale di sospensione cautelare dal servizio di un professore universitario, rinviato a giudizio per i reati di corruzione e concorso esterno in associazione mafiosa, il quale, pur avendo attinenza con il rapporto di lavoro, non tocca la questione della condanna con la concessione della sospensione condizionale della pena. Ciò detto e premesso, la L. 18 gennaio 1992, n. 16, Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali, che funge da sostrato alle Sentenze in esame della Suprema Corte, all'art. 1, comma 4-septies dispone che: «Qualora ricorra alcuna delle condizioni di cui alle lettere a), b), c), d), e)12 ed f) del comma 1 nei confronti del personale dipendente delle amministrazioni pubbliche, compresi gli enti ivi indicati, si fa luogo alla immediata sospensione dell'interessato dalla funzione o dall'ufficio ricoperti. Per il personale degli enti locali la sospensione è disposta dal capo dell'amministrazione o dell'ente locale ovvero dal responsabile dell'ufficio secondo la specifica competenza, con le modalità e procedure previste dai rispettivi ordinamenti. Per il personale appartenente alle Regioni e per gli amministratori e i componenti degli organi delle unità sanitarie locali, la sospensione è adottata dal Presidente della Giunta regionale, fatta salva la competenza, nella Regione Trentino-Alto Adige, dei presidenti delle Province autonome di Trento e di Bolzano. A tal fine i provvedimenti emanati dal giudice sono comunicati, a cura della cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero, ai responsabili delle amministrazioni o enti locali indicati al comma 1». E per completezza d'indagine si riporta l'art. 15 della L. 19 marzo 1990, n. 55 Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale, il quale prevede che: «1. Non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e non possono comunque ricoprire le cariche di Presidente della Giunta regionale, assessore e consigliere regionale, Presidente della Giunta provinciale, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, Presidente e componente del consiglio circoscrizionale, Presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, Presidente e componente dei consigli e delle Giunte delle Unioni di comuni, consigliere di amministrazione e Presidente delle aziende speciali e delle Istituzioni di cui all'articolo 23 della legge 8 giugno 1990, n. 142, amministratore e componente degli organi comunque denominati delle unità sanitarie locali, Presidente e componente degli organi esecutivi delle comunità montane: a) coloro che hanno riportato condanna definitiva per il delitto previsto dall'articolo 416- bis del codice penale o per il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all'articolo 74 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, o per un delitto di cui all'articolo 73 del citato testo unico, concernente la produzione o il traffico di dette sostanze, o per un delitto concernente la fabbricazione, l'importazione, l'esportazione, la vendita o cessione, nonché, nei casi in cui sia inflitta la pena della reclusione non inferiore ad un anno, il porto, il trasporto e la detenzione di armi, munizioni o materie esplodenti, o per il delitto di favoreggiamento personale o reale commesso in relazione a taluno dei predetti reati; b) coloro che hanno riportato condanna definitiva per i delitti previsti dagli articoli 314 (peculato), 316 (peculato mediante profitto dell'errore altrui), 316-bis (malversazione a danno dello Stato), 317 (concussione), 318 (corruzione per un atto d'ufficio), 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio), 319-ter (corruzione in atti giudiziari), 320 (corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio) del codice penale; c) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio diversi da quelli indicati alla lettera b); d) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo; e) lettera abrogata dalla L. 13 dicembre 1999, n. 475; f) coloro nei cui confronti il tribunale ha applicato, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione, in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646. 1-bis. Per tutti gli effetti disciplinati dal presente articolo, la sentenza prevista dall'articolo 444 del codice di procedura penale è equiparata a condanna. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano nel caso in cui nei confronti dell'interessato venga emessa sentenza, anche se non definitiva, di non luogo a procedere o di proscioglimento o sentenza di annullamento, anche se con rinvio, ovvero provvedimento di revoca della misura di prevenzione, anche se non definitivo. 3. Le disposizioni previste dal comma 1 si applicano a qualsiasi altro incarico con riferimento al quale l'elezione o la nomina è di competenza: a) del consiglio regionale, provinciale, comunale o circoscrizionale; b) della Giunta regionale o provinciale o dei loro presidenti, della giunta comunale o del sindaco, di assessori regionali, provinciali o comunali. 4. L'eventuale elezione o nomina di coloro che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1 è nulla. L'organo che ha deliberato la nomina o la convalida dell'elezione e' tenuto a revocarla non appena venuto a conoscenza dell'esistenza delle condizioni stesse. 4-bis. Sono sospesi di diritto dalle cariche indicate al comma 1: a) coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati al comma 1, lettera a), o per uno dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 316, 316-bis, 317, 318, 319, 319-ter e 320 del codice penale; b) coloro che, con sentenza di primo grado, confermata in appello per la stessa imputazione, hanno riportato una condanna ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per un delitto non colposo, dopo l'elezione o la nomina; c) coloro nei cui confronti l'autorità giudiziaria ha applicato, con provvedimento non definitivo, una misura di prevenzione in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646. La sospensione di diritto consegue, altresì, quando è disposta l'applicazione di una delle misure coercitive di cui agli articoli 284, 285 e 286 del codice di procedura penale. Nel periodo di sospensione i soggetti sospesi non sono computati al fine della verifica del numero legale, né per la determinazione di qualsivoglia quorum o maggioranza qualificata. La sospensione cessa di diritto di produrre effetti decorsi diciotto mesi. La cessazione non opera, tuttavia, se entro i termini di cui al precedente periodo l'impugnazione in punto di responsabilità è rigettata anche con sentenza non definitiva. In quest'ultima ipotesi la sospensione cessa di produrre effetti decorso il termine di dodici mesi dalla sentenza di rigetto. 4-ter. A cura della cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero i provvedimenti giudiziari che comportano la sospensione ai sensi del comma 4-bis sono comunicati al commissario del Governo se adottati a carico del presidente della giunta regionale, di un assessore regionale o di un consigliere regionale ed al prefetto negli altri casi. Il prefetto, accertata la sussistenza di una causa di sospensione, provvede a notificare il relativo provvedimento agli organi che hanno convalidato l'elezione o deliberato la nomina. Nei casi in cui la causa di sospensione interviene nei confronti del Presidente della Giunta regionale, di un assessore regionale o di un consigliere regionale, il commissario del Governo ne dà immediata comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri il quale, sentiti il Ministro per gli affari regionali e il Ministro dell'interno, adotta il provvedimento che accerta la sospensione. Tale provvedimento è notificato, a cura del commissario del Governo, al competente consiglio regionale per l'adozione dei conseguenti adempimenti di legge. Per la regione siciliana e la regione Valle d'Aosta le competenze del commissario del Governo sono esercitate, rispettivamente, dal commissario dello Stato e dal presidente della commissione di coordinamento. Per la durata della sospensione al consigliere regionale spetta un assegno pari all'indennità di carica ridotta di una percentuale fissata con legge regionale. 4-quater. La sospensione cessa nel caso in cui nei confronti dell'interessato venga meno l'efficacia della misura coercitiva di cui al comma 4-bis, ovvero venga emessa sentenza, anche se non passata in giudicato, di non luogo a procedere, di proscioglimento o di assoluzione o provvedimento di revoca della misura di prevenzione o sentenza di annullamento ancorché con rinvio. In tal caso la sentenza o il provvedimento di revoca devono essere pubblicati nell'albo pretorio e comunicati alla prima adunanza dell'organo che ha proceduto all'elezione, alla convalida dell'elezione o alla nomina. 4-quinquies. Chi ricopre una delle cariche indicate al comma 1 decade da essa di diritto dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di condanna o dalla data in cui diviene definitivo il provvedimento che applica la misura di prevenzione». Nel caso di specie che riguarda questo elaborato (condanna in primo grado per violazione dell'art. 323 c.p., abuso d'ufficio, pena sospesa e non menzione), le sentenze della Corte Costituzionale nn. 118/1994 e 206/1999 ed il conseguente orientamento dell'ANAC n. 54/2014 (peraltro non vincolante) non incidono sulla conferibilità degli incarichi dirigenziali non trovando al caso di specie applicazione l'art. 3 del d.lgs n. 39/2013, assumendo centralità invece l'art. 166 c.p., rubricato Effetti della sospensione, il quale, lo si ribadisce ancora una volta, dispone che: «La sospensione condizionale della pena si estende alle pene accessorie. E questo in quanto il d.lgs. n. 39/2013 non disciplina affatto il caso della condanna a pena condizionalmente sospesa, proprio in quanto il legislatore ha voluto differenziare tale fattispecie da altre che sono state oggetto di situazioni ben più pesanti; il tutto proprio in ossequio del principio di legalità che rappresenta uno dei punti fermi del garantismo istituzionale e del fondamento costituzionale del principio del divieto di analogia, contenuto nell'art. 14 delle preleggi e negli artt. 1 e 199 del codice penale13. 6. Conclusioni: Con specifico orientamento n. 54/2014 l'Autorità Nazionale Anticorruzione, precisa i confini tra concessione condizionale della pena e le cause di inconferibilità, fornendo il seguente orientamento alle amministrazioni: «Non rileva ai fini dell'inconferibilità di incarichi in caso di condanna, anche non definitiva, per reati contro la pubblica amministrazione, ex art. 3 del d.lgs. n. 39/2013, la concessione della sospensione condizionale della pena (Corte Cost., 31 marzo 1994, n. 118; Corte Cost., 3 giugno 1999, n. 206)». Il codice penale all'art. 166, Effetti della sospensione, prescrive che: «La sospensione condizionale della pena si estende alle pene accessorie. La condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione, né d'impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge, né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa». La distonia tra l'orientamento dell'ANAC, n. 54/2014 e l'art. 166 c.p. va risolta assumendo come centrale nell'ordinamento l'art. 166 c.p.; di conseguenza, ad avviso di chi scrive, è possibile conferire incarichi dirigenziali al soggetto condannato per violazione dell'art. 323 c.p. (abuso d'ufficio) con il beneficio della sospensione della pena e non menzione nel casellario giudiziario, non ravvisandosi, altresì, alcun contrasto con l'art. 3 del d.lgs. aprile 2013, n. 39, Disposizioni in materia di inconferibilità eincompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190, in quanto in tale decreto non è prevista l'inconferibilità di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione, con la sospensione della pena.
Note: 1 http://www.treccani.it/vocabolario/orientamento/ 2 SORACE D., Diritto delle amministrazioni pubbliche, Bologna, Il Mulino, 2012, p. 33 3 CASETTA E., Manuale di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2007, p. 47 4 4 novembre 1950; ratifica il Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848. 5 FIANDACA G., MUSCO E., Diritto penale, parte generale, Bologna, Zanichelli, 2005, p. 50 6 ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, Giuffrè, 2000, pp. 781-782 7 La Corte Cost. Sent. 28/4/1976, n. 95 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma «nella parte in cui non consente la concessione della sospensione condizionale della pena a chi ha già riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto non sospesa, qualora la pena da infliggere cumulata con quella irrogata con la condanna precedente non superi i limiti stabiliti dall'art. 163 cp». 8 Cass. Sez. III, 28 marzo 1988; 17 gennaio 1989, n. 357 9 Cass. Sez. IV, 14 marzo 1990, n. 8050 10 Articolo 318. Corruzione per un atto d'ufficio: «Il pubblico ufficiale, che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per sè o per un terzo, in denaro od altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d'ufficio da lui già compiuto, la pena è della reclusione fino ad un anno». 11 Art. 273 c.p.p. Condizioni generali di applicabilità delle misure: «1. Nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza». 12 La lettera e) è stata abrogata dalla L. 13 dicembre 1999, n. 475, Modifiche all'articolo 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, e successive modificazioni. 13 Art. 14 Applicazione delle leggi penali ed eccezionali: «Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati» (articolo 25 Cost., articolo 2 codice penale); Art. 1 c.p. Reati e pene: disposizione espressa di legge: «Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite»; art. 199 c.p. Sottoposizione e misure di sicurezza: disposizione espressa di legge: «Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge preveduti».
Lecce 27 luglio 2015 Prof. Luigino SERGIO già Direttore Generale della Provincia di Lecce |
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