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Data: 29/07/2015 21:40:00 - Autore: Valeria Zeppilli![]() Secondo la Corte, infatti, la cooperazione tra più soggetti con competenze diverse, che connota il lavoro in equipe, va sottratta all'anarchismo e deve essere necessariamente diretta e coordinata dal capo del gruppo di lavoro. Il capo-equipe, in sostanza, è parzialmente sottratto al principio di affidamento e ha la responsabilità di una costante e diligente vigilanza sull'attività del gruppo, anche successiva alla conclusione dell'atto operatorio in senso stretto. Dinanzi alle molteplici e differenti situazioni che possono verificarsi durante un intervento, il chirurgo responsabile dovrà quindi avvalersi necessariamente del ruolo istituzionale che gli è stato affidato. In ogni caso i giudici precisano che la sua responsabilità non può essere di certo considerata priva di limiti ma emerge solo con riferimento a determinazioni che rientrano nel sapere comune di ogni accorto terapeuta o che riguardano gli ambiti interdisciplinari, mentre è da escludersi con riferimento a determinazioni che presuppongono un sapere altamente specialistico. Nel caso di specie, il chirurgo capo-equipe, pur avendo manifestato un'opinione che poi si dimostrò corretta, non impedì all'anestesista di addormentare la paziente, nonostante le complicanze che ne causarono il decesso. Secondo i giudici egli, in possesso delle conoscenze necessarie per ponderare le implicazioni connesse all'anestesia curarica, avrebbe dovuto sospendere l'atto operatorio che, peraltro, era urgente ma non impellente.
A causa del suo comportamento negligente, sulla base della sentenza n. 33329/2015 il chirurgo dovrà quindi rispondere penalmente per il decesso del paziente. |
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