Data: 31/07/2015 19:00:00 - Autore: Marina Crisafi

di Marina Crisafi - Nuova bacchettata della Cassazione ai giudici di merito sulla liquidazione indistinta del danno morale e biologico. I due danni infatti sono ontologicamente distinti e vanno liquidati autonomamente. Lo ribadisce la sentenza n. 16197 depositata ieri dalla terza sezione civile della Cassazione (qui sotto allegata), pronunciandosi sulla richiesta di risarcimento danni di un giovane (diciottenne all'epoca del sinistro) a seguito di un sinistro stradale con un autocarro che gli aveva procurato un'invalidità permanente del 90% oltre al danno psichico, comprensivo di deficit grave della memoria e pregiudizio della funzione deambulatoria. 


In primo grado, il tribunale liquidava quasi 2 milioni di euro al ragazzo e circa 70mila euro complessivamente ai genitori, intervenuti per chiedere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, dagli stessi personalmente subiti. In appello, invece, la Corte riduceva la somma a favore dell'infortunato a circa 1,4 milioni riunendo in un'unica voce i danni biologici e quelli morali e aumentando la liquidazione a favore della sola madre.

L'infortunato ricorreva in Cassazione e i giudici di legittimità ne approfittano subito per fare il punto: a distanza di diversi anni dalle note sentenze di San Martino delle Sezioni Unite dell'11 novembre 2008, vanno ancora chiariti diversi dubbi in merito alla liquidazione nell'ambito della responsabilità civile.

Con tali pronunce (cui peraltro ha premesso di volersi uniformare la stessa Corte d'Appello), infatti, hanno spiegato gli Ermellini, il danno morale non è stato affatto conglobato nel biologico, ma sono state semplicemente ribadite due necessità: quella di “includere in un'unica somma le varie voci risarcitorie che compongono i danni non patrimoniali conseguenti all'inabilità fisica e quella di evitare duplicazioni risarcitorie”. Ciò, però, non vale ad escludere che “la somma complessivamente liquidata al danneggiato debba essere integralmente satisfattiva”.

Sbaglia, dunque, la corte di merito a sostituire, senza motivazione e senza alcuna personalizzazione del danno, i criteri di valutazione dei danni non patrimoniali in vigore alla data in cui è stata emessa la sentenza di primo grado, con i “meno favorevoli criteri di cui alle tabelle milanesi approvate nel 2009” e non in vigore né alla data dell'incidente, né a quella della domanda giudiziale, né a quella della sentenza di primo grado.

Ed anche volendo applicare le tabelle elaborate dalle Corti, che svolgono “indubbiamente un'utile funzione al fine di evitare eccessive disparità di trattamento e di garantire un certo grado di certezza e di prevedibilità delle decisioni, in una materia in cui non esistono parametri obiettivi di valutazione”, ha proseguito la S.C. bisogna tenere presente che esse offrono “criteri meramente indicativi di valutazione”, che non hanno certo “efficacia vincolante e inderogabile” e che debbono essere sempre attentamente calibrati con riguardo alle peculiarità del caso, in modo da assicurare al danneggiato l'integrale risarcimento.

Inoltre, ha spiegato la S.C., è stato chiarito che tali tabelle “non hanno certo cancellato il danno morale per riassorbirlo nel danno biologico, ma hanno provveduto ad una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale derivante da lesione permanente all'integrità psicofisica e del danno non patrimoniale derivante dalla stessa lesione in termini di dolore e sofferenza soggettiva”.

Del resto, ha sottolineato ancora la Corte, che il danno morale sia una voce autonoma nella categoria del danno non patrimoniale è confermato sia dagli interventi normativi recenti in materia (il riferimento è ai D.p.r. nn. 37/2009 e 181/2009) sia dalla differenza ontologica fra le due voci di danno “che corrispondono a due momenti essenziali della sofferenza dell'individuo: il dolore interiore e la significativa alterazione della vita quotidiana”.

E nel caso di specie, era perfettamente ipotizzabile e la Corte doveva tenerne conto, che l'infortunato avesse risentito “di sofferenze e danni esclusivamente morali di notevole entità e meritevoli di un compenso aggiuntivo, rispetto a quello che gli è stato attribuito per il solo danno biologico, il quale ultimo tiene conto solo delle limitazioni collegate alla perdita del "valore d'uso" del proprio corpo”.


In definitiva, la quantificazione avrebbe dovuto tenere conto “della durata e dell'intensità del dolore, fisico e psichico (in relazione a numero, natura e complessità delle cure e soprattutto degli interventi chirurgici; alla limitazione delle opportunità di farsi una famiglia, di coltivare amicizie ed affetti; di svolgere attività sportive e ricreative, così via), opportunità tutte variabili da individuo a individuo in relazione all'età e alla natura delle lesioni”. Ciò era possibile soltanto personalizzando i valori di cui alle tabelle, mentre la sentenza impugnata “non ha dedicato una sola parola a tali aspetti, né alle ragioni per le quali non ha personalizzato il risarcimento, in via correttiva dei rigidi valori tabellari, come previsto dalle stesse tabelle milanesi del 2009.

Ma non solo. Altro grande errore commesso dalla Corte d'Appello, per la S.C., è stato quello di riconoscere che l'invalido avesse bisogno di assistenza continua negando però una somma idonea ad affrontare la relativa spesa, e scaricando così sulla famiglia, sia dal punto di vista economico che personale, la “cura dello sfortunato figlio”.

I genitori, in definitiva ha concluso la S.C., saranno sempre presenti ma il loro impegno affettivo non può certo essere trasformato nell'obbligo di supplire con il proprio lavoro personale e a proprie spese alla carenza di assistenza specifica, ovvero a richiedere che “si dedichino a cospicui e remunerativi investimenti finanziari al fine di far fruttare oltre misura l'esigua somma anticipata dai responsabili, come ipotizzato dalla corte di merito”.

Per cui, anche in presenza dei genitori, e soprattutto, in previsione degli anni in cui questi potrebbero venire a mancare, la somma attribuita in risarcimento deve essere adeguata a coprire le spese per il personale di supporto (con riferimento ai dati desumibili dalle leggi e dal mercato in ordine all'entità delle retribuzioni spettanti al personale di assistenza).

Di tutto questo dovrà tenere conto il giudice del rinvio, chiamato a decidere il giudizio sulla base dei principi indicati.


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