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Data: 10/08/2015 09:00:00 - Autore: Francesca Trotta Dott.ssa Trotta Francesca - Il contratto secondo la disposizione impressa nel nostro codice è l'accordo tra due o più parti per costituire, modificare ed estinguere rapporti giuridici patrimoniali. Da tale accordo e al fine di rendere idoneo lo stesso alla produzione di effetti giuridici, discendono obblighi per l'una e per l'altra parte. Tali obblighi giuridici rappresentano il fulcro della corrispettività e dunque della sinallagmaticità tra le prestazioni, consistente appunto in un legame funzionale a determinare lo scambio tra le stesse. Sebbene ciò, molte volte la struttura contrattuale non si dimostra idonea a produrre effetti oppure l'inidoneità investe una fase successiva che tocca quindi il normale proseguimento della accordo prospettato a monte. Nel primo caso si parla di vizi genetici del contratto. In tal caso gli stessi andranno ad intaccare la fase di formazione dello stesso o della volontà contrattuale determinando una caducazione “patologica” dell'accordo. Nel secondo caso invece i vizi inficeranno la fase funzionale rendendo impossibile il proseguirsi o rendendo l'eventuale prosecuzione poco funzionale al raggiungimento del fine contrattuale della parte. Al fine di evitare l'incombenza di situazioni di questo tipo e quindi l'inidoneità a garantire l'effettivo godimento della prestazione spettanti ad una delle parti, è necessario che l'altra parte garantisca la posizione contrattuale altrui salvaguardandola dai vizi. È semplice comprendere come alle parti non venga chiesta una garanzia che copra la sostanza “aleatoria” di ogni contratto, ma solo in virtù della regola di buona fede e diligenza da quel rischio che potrebbe discendere da una prestazione in se viziata. Quanto appena detto rappresenta la regola iuris di qualsivoglia accordo.Tant'è che ai sensi dell' articolo 1470 c.c. in materia di compravendita che rappresenta senza dubbio il più importante dei contratti tipici, si legge che la vendita è il contratto avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo. Il venditore ossia colui il quale trasferisce la proprietà della res ha l'obbligo principale di consegnare la cosa al compratore, di fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto se l'acquisto non è l'effetto immediato del contratto procurandosela eventualmente da terzi, di garantirlo dall'evizione ed in fine di garantirlo dai vizi della cosa. La garanzia dei vizi della cosa rientra nel novero delle c.d. garanzia edilizie le quali possono inficiare il godimento della res o ancor di più impedirne l'effettivo acquisto, in quest'ultimo caso inoltre il soggetto perderà l'acquisto del diritto sulla cosa in virtù della relazione che un terzo già proprietario esercita sul bene stesso. Quanto invece ai vizi, gli stessi sono intesi come quelle imprecisioni o difetti materiali che rendono la cosa inidonea all'uso a cui è destinata. Le garanzie della vendita hanno un aspetto particolare in quanto sono conseguenze naturali del contratto consistenti nella previsione di obblighi a carico del venditore la cui nascita è indipendente da un comportamento qualificabile come inadempimento. Quanto detto rappresenta il risultato di un onere più specifico di quello che generalmente si applica ai contratti. Nel normale sistema contrattuale il soggetto inadempiente fa sorgere in capo all'altro un diritto potestativo a chiedere l'azione di esatto adempimento qualora la controparte sia ancora interessata ad ottenere quella res o ancor di più potrà ricorrere alla risoluzione per inadempimento ogni qualvolta per ragioni di non scarsa importanza la parte sanzioni l'inadempimento altrui, sciogliendosi dal vincolo contrattuale. Nel caso di garanzie per vizi, la controparte non per forza risulta essere inadempiente in quanto la stessa è ben disposta a trasferire il bene risultando però viziato. Nel corso degli anni sono state prospettate varie tesi quanto alle conseguenze derivanti dal venire meno della funzione garantista riservata alle parti. Per una prima tesi verrebbe inquadrata nella categoria dell'errore, errore del compratore circa la effettiva consistenza del bene. Una seconda tesi rinveniva nel venir meno di tali garanzia la possibilità di risoluzione per inottemperanza ad una promessa quale quella insita nel contratto di vendita. Per una terza tesi la vendita sarebbe stata viziata per in attuazione degli obblighi e quindi idonea a determinare responsabilità precontrattuale, mentre per un ultimo orientamento di autorevole dottrina dal venir meno degli obblighi discendeva una violazione del contratto da collocarsi nell'area della responsabilità del venditore in termini di inadempimento dell'obbligazione. Questa tesi ha rappresentato e tuttora rappresenta l'effettivo problema relativo alla natura di suddette garanzie in quanto aprirebbe la parte ad una discussione in termini di obbligazione delle stesse e quindi di effettiva responsabilità. Al fine di ricondurre le garanzie edilizie ad una nozione lata di responsabilità dottrina e giurisprudenza a più riprese hanno intravisto la presenza di caratteri di oggettività e di assolutezza, volendo giustificare la responsabilità del venditore per vizi derivanti da causa a lui non imputabile al caso fortuito. Ricondurre il venir meno delle garanzie al caso fortuito risulterebbe alquanto improprio in quanto si uscirebbe fuori dal concetto di responsabilità, poiché “l'obbligazione e quindi la responsabilità finisce là dove inizia il caso fortuito situazione di per sé inprospettabile”. In dottrina si è per lungo tempo avanzata la considerazione in virtù del quale la qualificazione di effetti la cui realizzazione è sottratta al dominio del soggetto è assunta nel contenuto del regolamento contrattuale ma non in termini di responsabilità quanto in termini di garanzia. Attualmente si può invece sostenere come la garanzia rientri a pieno titolo in una nozione lata di un'obbligazione idonea a ricomprendere quei rapporti nei quali l'aspettativa del creditore si può presumere né in un comportamento nei in un determinato risultato. Detto ciò, qualora la res fosse viziata il vizio potrebbe essere inidoneo ad ottenere il godimento sperato o in modo assoluto o in modo relativo. In tal ultimo caso e diversamente rispetto al primo si assiste ad una diminuzione del valore della cosa tale però da non renderla completamente inutilizzabile. Ai sensi dell'articolo 1492 c.c. il compratore potrà domandare a sua scelta la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, salvo che per determinati vizi gli usi escludono la risoluzione. La risoluzione del contratto in questi casi meglio nota come actio redibitoria si comporta diversamente da quella prevista ai sensi dell'articolo 1453 s.s. del codice in virtù della sua peculiare natura, in quanto sebbene intesa come rimedio ripristinatorio dello status quo ante ,comportando appunto lo scioglimento con effetti ex tunc del vincolo, risulta essere un rimedio oggettivo che prescinde dalla colpa e dal inadempimento. Essa presenta stretti termini di decadenza in quanto il compratore decade dal diritto se non denuncia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta salvo il termine sia diversamente stabilito dalle parti. Al compratore appartiene un secondo rimedio, oltre il risarcimento del danno che potrà essere richiesto come si dirà a prescindere da quale azione venga esperita, l'azione di riduzione del prezzo o actio quanti minoris. L'actio quanti minoris è finalizzata a ristabilire il rapporto di corrispettività tra prestazione e controprestazione e porre il compratore nella situazione in cui si sarebbe trovato se il bene fosse immune da vizi. Se la cosa consegnata è perita in conseguenza dei vizi, il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto, se invece è perita per caso fortuito o per colpa del compratore o se questi ha alienato o trasformato egli non potrà che domandare la riduzione, non essendo possibile risolvere il contratto. In ogni caso il venditore è tenuto verso il compratore al risarcimento del danno se non prova di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa e dovrà altresì risarcire al compratore i danni derivanti dai vizi della cosa. Il rimedio risarcitorio è dunque a prescindere esperibile vista la diversa portata rispetto e rimedi reintegratori. Può tuttavia accadere che sia lo stesso venditore ad offrirsi di eliminare i vizi della cosa surrogando la sua prestazione ricostitutiva alle azioni esperibili dal compratore. A quanti ritenevano che detta alternativa rappresentasse un'obbligazione novativa, nel 2005 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha chiaramente risposto escludendo l'intento novativo. La novazione è un istituto che prevede due importanti caratteristiche l'animus novandi e l'aliquid novi, la volontà di modificare l'oggetto dell'obbligazione sostituendo la vecchia con una nuova nonché la costituzione di un nuovo titolo. Le caratteristiche suddette non sono presenti nel caso in specie laddove l'offerta del venditore di eliminare i vizi con effetto modificativo estintivo non risulta essere un quid novi ma un quid pluris che serve ad ampliare la modalità di attuazione in termini di riconoscimento del debito, salvo il caso in cui le parti abbiano diversamente disposto e quindi pattuito secondo quanto dispone lo stesso articolo 1490 c.c. Tale articolo prevede che in caso di vizi tali da rendere idoneo il godimento della res, il venditore può proporsi di sostituire con effetto novativo il bene viziato con uno libero da vizi. Quanto finora detto si applica nello stesso modo nel caso di mancanza della qualità promessa o differenza tra il bene promesso è quello consegnato. Diversamente accade invece nella vendita c.d. aliud pro alio. Nella vendita aliud pro alio il bene consegnato c.d. res tradita appartiene ad un genus diverso rispetto a quello convenuto presentando difetti tali da rendere impossibile l'assolvimento della funzione a cui la res era preposta. In relazione a questa figura si applicano i normali rimedi previsti dagli articoli 1453 ss. del codice, in quanto si tratta non più della consegna di una res viziata prima della consegna ma di una res viziata perché diversa e quindi imputabile a colpa del soggetto venditore. Ciò indurre a richiedere la risoluzione fruendo dei termini decadenziali previsti nelle normale ipotesi e non di quelli ridotti propri dell'actio redibitoria. Quanto invece alla vendita di beni di consumo, il venditore sarà responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene. Anche il codice del consumo prevede la previsione propria della garanzia della conformità del bene pattuito rispetto a quello consegnato. Al compratore spetterà l'azione di risoluzione o la quanti minoris come previsto dalle disposizioni generali del codice civile avendo in quest'ultimo caso diritto di ripristino del bene. Nel codice del consumo è inoltre chiaramente prevista la possibilitá di riparare il bene o di sostituirlo, salvo il caso in cui sia oggettivamente impossibile, tutte quelle volte in cui al compratore interesserà ricevere l'oggetto specifico della pattuizione salvando gli effetti del contratto. Risulta interessante notare come la tematica della difformità non per forza deve arrestarsi a meri difetti del bene sul bene, ma potrebbe accadere che il bene in quanto tale sia stato costruito in maniera abusiva e quindi in mancanza o in difformità del titolo abilitativo ossia del permesso di costruire. La figura della lottizzazione abusiva è prevista dal Testo Unico sull'edilizia DPR. 380 del 2001 da cui si desume che l'oggetto del contratto sarebbe nullo perché affetto da impossibilità giuridica a cagione della sua in commerciabilità o irregolarità. Sebbene ciò il testo unico permette una deroga a tale forma di nullità tramite il c.d. permesso in sanatoria in caso di interventi realizzati in assenza di permesso o in difformità con lo stesso. Il responsabile dell'abuso o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere dunque il permesso in sanatoria circa il mantenimento del bene se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica edilizia vigente al momento della realizzazione dello stesso e al momento di presentazione della domanda. Il rilascio del permesso è subordinato al pagamento a titolo di oblazione del contributo di costruzione in doppia misura o in caso di gratuita a norma dell'articolo 16 del DPR. 380 del 2001. Quanto detto è funzionale alla salvezza degli effetti del contratto effetto considerevolmente valutato alla stregua dei principi di autonomia contrattuale. A questo punto è possibile richiamare un'altra fattispecie contrattuale in cui è ugualmente prospettabile la problematica relativa al vizio. L'articolo 1655 c.c. prevede che l'appalto è il contratto con il quale una parte assume con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro. L'appaltatore tanto quanto il compratore come nel caso suddetto è tenuto alla garanzia per la difformità e vizi dell'opera. Per vizio si intende la mancanza di qualità o modalità mentre per difformità si intende una discordanza dall'opera rispetto alle prescrizioni pattuite. Ebbene nel caso in specie al fine di poter fruire della garanzia il committente non deve aver accettato l'opera eccetto il caso in cui i vizi e le difformità erano taciuti in mala fede dall'appaltatore, dovendo denunciarli entro 60 giorni. La prescrizione prevista nel contratto d'appalto quanto all'accettazione è sintomatica dell'effettivo esperimento di attività di verifica sul bene a cui il committente è tenuto. Infatti al committente è data facoltà non solo di accettare sia in maniera tacita espressa il bene ma addirittura con riserva. In quest'ultimo caso sarà concesso al committente accettare il bene riservandosi la facoltà di verificare l'eventuale presenza di difformità. Il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell'appaltatore o che il prezzo sia proporzionalmente diminuito. Qualora il vizio o la difformità sia tale da rendere l'opera del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto. Anche in tal caso è prospettabile il risarcimento del danno qualora si desume la colpa dell'appaltatore. Interessante è la prescrizione contenuta all'interno dell' articolo 1669 c.c. il quale prevede che quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto di costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta pericolo di rovina o gravi difetti l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente o dei suoi aventi causa purché sia fatta denuncia entro un anno dalla scoperta. In tale caso stupisce la considerazione della tipologia di responsabilità in quanto si prospetta una responsabilità extracontrattuale, si avrebbe così una lesione dell'interesse generale alla pubblica incolumità sebbene l'orientamento vengano considerevolmente criticato. Anche nel caso del contratto di appalto si prospetta la risoluzione in quanto il committente ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne lo stato. Qualora si accerta che l'esecuzione dell'opera non proceda secondo le condizioni stabilite, il committente potrà fissare un congruo termine affinché l'appaltatore si ravveda in conformità alle prescrizioni previste. Trascorso questo termine il contratto si assume risolto di diritto. Il committente può altresì recedere dal contratto anche se iniziata l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l'appaltatore dalle spese sostenute, dai lavori eseguiti e dal mancato guadagno. Il recesso previsto nel contratto di appalto è chiaramente differente da quanto generalmente disposto dall'articolo 1373 c.c. per due ordini di ragioni. In primis tale rimedio è esperibile anche se iniziata l'esecuzione diversamente dal normale recesso, la ratio è quella di tutelare l'interesse del committente a non vedere ultimata l'esecuzione dell'opera o del servizio qualora non ve ne siano i presupposti. Inoltre le caratteristiche in termini di indennizzo prospettato dal ultima parte della norma relativa recesso è da intendersi in termini di risarcimento ampliando l'eccezione accezione di suddetto termine. L'indennizzo di per sé è chiaramente distinto dal risarcimento del danno, in quanto il danno inferto si presuppone come giusto diversamente dall'ingiustizia prospettata nel risarcimento. In tal caso non si provvederà al conferimento del risarcimento per la sola perdita subita ma anche del mancato guadagno. Sebbene ciò, è prevista la possibilità che venga concessa anche all'appaltatore una facoltà di recesso o ancor di più la previsione che quella del committente venga esclusa nel caso in cui la pattuizione sia opera di entrambe le parti paritariamente a quanto accade nel contratto di compravendita ai sensi dell'art. 1490 c.c. non costituendo detti patti limitazioni della responsabilità, bensì del contenuto del contratto. Al fine di concludere, quanto detto nel caso della compravendita per l'ipotesi di perimento del bene o deterioramento della cosa l'ipotesi è ugualmente estendibile l'appalto. Ragion per cui qualora l'opera perisca o si deteriori per causa non imputabile ad alcuna delle parti e prima che sia accettata o verificata dal committente, il deterioramento è a carico dell'appaltatore qualora ne abbia fornito la materia. Nel caso in cui la materia sarà fornita dal committente egli potrà dirsi invece responsabile ad eccezione della parte spettante all'appaltatore in termini di danno. Dott.ssa Trotta Francesca - Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi "Federico II"di Napoli, specializzata in Professioni Legali presso la stessa università - trottaf@live.it |
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