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Data: 11/08/2015 11:00:00 - Autore: Avv. Marcella Ferrari di Avv. Marcella Ferrari - La natura giuridica del contratto di parcheggio è spesso oggetto di discussione. Un orientamento, ormai recessivo in giurisprudenza, ritiene che si tratti di un contratto misto[1] di deposito e locazione; secondo l'indirizzo maggioritario, invece, configura un contratto atipico ex art. 1322 c.c., norma che ammette la conclusione di contratti diversi dai tipi legali purché sia sussistente un interesse meritevole di tutela. Il diverso inquadramento dogmatico della fattispecie determina delle conseguenze sul piano della normativa applicabile e della responsabilità conseguente all'inadempimento. Nell'ipotesi di negozio misto, infatti, confluiscono nel contratto di parcheggio sia gli obblighi di custodia, scaturenti dal deposito, sia quelli di godimento del bene immobile (in questo caso la piazzola di sosta) derivanti dalla locazione di area. Al contrario, se si qualifica il contratto in oggetto come atipico, occorre stabilire quale sia l'elemento in esso dominante: se la custodia o la locazione di area. È di tutta evidenza che la scelta comporta delle ricadute sul piano della responsabilità del gestore del parcheggio. Nel tempo si sono segnalati due distinti orientamenti. Quello maggioritario ritiene prevalente e qualificante l'obbligo di custodia, vale a dire il dovere di restituire la res nelle medesime condizioni in cui è stata consegnata. Un indirizzo minoritario, invece, considera dominante l'aspetto della locazione e del godimento dell'area di sosta messa a disposizione della parte dietro corrispettivo del prezzo. La fattispecie più ricorrente nella prassi riguarda il caso di furto dell'autoveicolo ricoverato presso la struttura di parcheggio. La Suprema Corte, in un caso simile[2], ha sposato la tesi della natura atipica del contratto di parcheggio ed ha ritenuto che sia applicabile la disciplina del deposito oneroso[3] che postula l'obbligo di custodia in capo al depositario. In particolare, la Corte rileva come il contratto di parcheggio si concluda tramite un comportamento concludente, vale a dire l'immissione materiale dell'auto nella zona di sosta ed ingeneri in capo al depositante l'affidamento in ordine alla custodia del mezzo. In altri termini, secondo questa pronuncia, il posteggiatore non si limita a mettere a disposizione la piazzola, ma deve altresì garantirne la custodia osservando la diligenza del bonus pater familias (art. 1768 c.c.). Ne deriva che, in caso di danneggiamento, deterioramento, distruzione del bene il depositario risponde a titolo di responsabilità contrattuale per inadempimento degli obblighi derivanti dal contratto ai sensi dell'art. 1218 c.c. Proprio al fine di porsi al riparo da questa ipotesi di responsabilità, i gestori dei parcheggi hanno predisposto dei regolamenti contrattuali che espressamente escludono la custodia del bene. La giurisprudenza nega che tale indicazione assuma rilevanza giacché, considerata l'istantaneità con cui è concluso il contratto, non è data facoltà all'utente di esserne edotto o quantomeno di prenderne visione. Siffatte clausole, limitative della responsabilità, sono da considerarsi vessatorie ed invalide se non espressamente sottoscritte ai sensi dell'art. 1341 c.c.. In buona sostanza, quella del gestore è la responsabilità ex recepto, tipica del contratto di deposito. Sulla questione sono intervenute le Sezioni Unite[4], le quali hanno aderito all'orientamento minoritario ed hanno scelto quale paradigma di riferimento il contratto di locazione. Lo scopo del cliente, secondo il ragionamento della Corte, si sostanzia prevalentemente nella ricerca di un luogo per la sosta temporanea del mezzo dietro pagamento di un corrispettivo. L'obbligo del gestore, pertanto, si concreta nel garantire il godimento dell'area di sosta. Quanto all'obbligo di custodia, esso è ammissibile solo allorché l'utente abbia inteso ex professo assicurarsi la conservazione del bene. Pertanto, secondo i Supremi Giudici, qualora il gestore abbia escluso in modo chiaro e percepibile l'assunzione di responsabilità per la custodia del bene, non troverà applicazione la disciplina in materia di deposito[5] ma quella della locazione. Un avallo a tale ricostruzione pare ravvisabile nella legge Tognoli[6] che attribuisce rilevanza pubblicistica ai parcheggi, i quali, in corrispondenza di determinati snodi stradali, perseguono l'obiettivo di decongestionare i centri urbani e di migliorare le condizioni di vita del cittadino. La norma, inoltre, incentiva la loro realizzazione al fine di porre in essere «l'interscambio con sistemi di trasporto pubblico»[7]. Avv.to Marcella Ferrari - marciferrari@gmail.com [1] Il contratto misto è un unico contratto in cui si combinano schemi contrattuali diversi, esso si distingue dal contratto collegato che postula una pluralità di contratti, dipendenti uno dall'altro. In tal senso vedasi V. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica – Zatti, Milano, Giuffrè, 2001, 387 ss. [2] Corte Cass., sent. 27 gennaio 2009 n. 1957 contra Corte Cass., sent. 13 marzo 2009 n. 6169 la quale nega l'esistenza di un obbligo di custodia in capo al gestore del parcheggio anche in virtù della presenza di un apposito cartello all'ingresso del luogo di sosta in cui era espressamente esclusa la responsabilità per consegna della cosa (ex recepto). [3] Il contratto di deposito si considera naturalmente gratuito, vale a dire si presume gratuito se le parti non dispongono diversamente (art. 1767 c.c.) [4] Corte Cass., S.U., sent. 28 giugno 2011, n. 14319 [5] In ogni caso, la Corte non esclude in toto la presenza di un obbligo di custodia ma lo limita ad ipotesi specifiche; soggiunge, inoltre, che un elemento rivelatore per valutare la sussistenza (o meno) dell'obbligo di cui si tratta consiste nell'entità dell'importo per la sosta: un prezzo maggiorato, infatti, depone nel senso dell'assunzione del rischio da parte del gestore in caso di danni o furti ai veicoli. [6] Legge 24 marzo 1989 n. 122. [7] Art. 5, legge 24 marzo 1989 n. 122. [8] Ex multis, Corte Cass., sent. 4 giugno 2013 n. 14067 e Corte Cass., sent. 19 novembre 2013, n. 25894. [9] Secondo la Corte, infatti, si tratta di un'offerta al pubblico (art. 1336 c.c.) che l'utente è libero di non accettare. |
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