|
Data: 12/08/2015 08:00:00 - Autore: Gilda Summaria di Gilda Summaria - La fattispecie organizzatoria denominata “In House Providing” potrebbe essere tradotta come gestione in casa o in proprio, dando così un'immediata percezione anche visiva del fenomeno, poiché si traduce nella possibilità dell'ente locale che partecipa l'In House, di procurarsi le prestazioni negoziali che gli occorrono al proprio interno, nel sottolineato rilievo che la struttura “de qua” appare una “longa manus” dell'ente stesso. Il concetto è di creazione giurisprudenziale europea, plasmato sui numerosi pronunciamenti della Corte di Giustizia Europea, nel segno del connubio "autorganizzazione amministrativa/libera concorrenza sul mercato", in vista della possibilità di affidamento diretto e senza espletamento di gara, all'In House Providing (modello insourcing). Precedentemente alla famosa sentenza Teckal del 1999, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea aveva già stabilito che l'assenza di gara, con compressione della libera concorrenza, poteva essere giustificata poiché l'In House, pur essendo un soggetto giuridico differente dall'ente locale che lo partecipa, non riveste comunque carattere di terzietà, ma la direzione e coordinamento cui soggiace lo tramuta in un prolungamento dell'ente locale stesso in una sorta di rapporto interorganico. Tutto ciò premesso, sarà proprio con la “pietra miliare” sull'"In House Providing", la c.d. sentenza “Teckal” (C -107/98), che i caratteri fondamentali della fattispecie comunitaria verranno definiti dalla Corte del Lussemburgo ed enucleati in: a) controllo analogo ai propri servizi interni che la P.A. aggiudicatrice deve esercitare sull'aggiudicatario in house; b) attività prevalente che l'aggiudicatario deve svolgere a favore dell'ente locale aggiudicante. Così come sarà sempre la Corte di Giustizia che nel 2005 (C-26/03) preciserà che il controllo analogo non è compatibile con presenze private nella compagine sociale e che il controllo in mano pubblica deve mantenersi totalitario, poiché una presenza di stampo privatistico porterebbe ad un conflitto di interessi, profondamente diversi e confliggenti per l'azionista pubblico e per quello privato. In una successiva sentenza dello stesso 2005 (C- 458/03), la Corte specifica che il controllo analogo deve connotarsi quale controllo totale, che permetta un'influenza penetrante e significativa sulle decisioni maggiormente pregnanti e vincolanti per la partecipata in house e di natura strategica, precisando che qualora l'In House decida “motu proprio” di assumere decisioni c.d. strategiche non sottoponendole al vaglio dell'ente che lo partecipa e che lo ha affidato direttamente del servizio, potrebbe rischiare di perdere la connotazione di In House Providing, con tutte le conseguenze del caso. Per quanto teste' detto, rilevanti poteri gestionali non devono residuare in capo al C.d.A. della partecipata e le decisioni più importanti (a fortiori in tema di bilancio), nei vari settori della vita societaria, devono necessariamente essere sottoposte al vaglio preventivo dell'ente locale affidante, tenendo in debito conto che il controllo analogo si ritiene altresì escluso se nello statuto è prevista la libera cessione delle quote in favore di soggetti di diritto privato. Tali principi sono stati recepiti in sentenza dalla quasi totalità dei TAR regionali e dal massimo organo di giustizia amministrativa (ex plurimis C.d.S. n. 5072/2006). Nel 2006 è di nuovo la Corte di Giustizia (C.340/04) che torna sull'argomento “controllo analogo”, statuendo che lo stesso non ricorre nel caso di controllo non diretto da parte dell'ente locale territoriale ma mediato dall'esistenza di una holding, ciò eluderebbe del tutto o indebolirebbe notevolmente l'influenza pubblica, la quale deve rimanere dominante se si vuole preservare il profilo dell'istituto comunitario in commento. |
|