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Data: 15/08/2015 12:00:00 - Autore: A.V. Il mare non è cosa suscettibile di custodia, atta a innescare la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 codice civile. E' quanto afferma la Corte di Cassazione (sentenza 11532/2014) spiegando che una spiaggia litoranea può ritenersi causa del danno "solo ove abbia avuto un ruolo determinante nella causazione dell'evento e non quando sia stata mera occasione nel prodursi del pregiudizio". Per questo "l'amministrazione comunale cui la legge affidi la gestione di un lido non risponde in qualità di custode della morte per annegamento di un bagnante avvenuta nel tratto di mare antistante". Nel caso di specie un giovane di 21 aveva perso la vita annegando mentre faceva il bagno in un tratto di mare antistante il lido del Comune di Campomarino. I prossimi congiunti del ragazzo avevano citato in giudizio l'amministrazione comunale ritenendola responsabile dell'evento e chiedendo il risarcimento dei danni subiti. Secondo gli attori il Comune avrebbe avuto anche la colpa di non avere adempiuto a un'ordinanza della Capitaneria di Porto che imponeva di predisporre di un servizio di assistenza alla balneazione e salvataggio "ovvero, in mancanza, di installare nel luogo dell'accaduto segnalazioni che rendessero avvertiti i bagnanti della pericolosità di quel tratto di mare, a causa delle forti correnti". Sia il Tribunale sia la Corte d'Appello accoglievano le richieste risarcitorie ma il caso finiva poi in cassazione dove il Comune sosteneva che "nel caso di specie difettava il primo elemento (custodia) perchè l'amministrazione comunale non aveva alcun potere di controllo e gestione nè sulla spiaggia, nè sul mare, ambedue appartenenti al demanio marittimo e soggetti alla gestione ed al controllo della Regione". Affermava poi che nella fattispecie mancava "il secondo elemento (nesso di causa tra cosa e danno) perchè il danno non era stato causato dalla spiaggia, ma dal mare: e quest'ultimo ovviamente non può formare oggetto di alcun controllo da parte del Comune". La Cassazione ha dato ragione al Comune evidenziando che "nel caso di specie mancava sia la custodia, sia il nesso tra cosa e danno". Come si legge nel testo della sentenza "Dire che il mare antistante il territorio di un Comune sia un bene "in custodia" di quest'ultimo è affermazione in verità singolare, per due ragioni. La prima è che il mare non è un bene demaniale ma una res communis, come tale "insuscettibile di proprietà pubblica o privata. Lo si desume dall'art. 822 c.c., e art. 29 c.n., i quali non comprendono il mare tra i beni demaniali; dalla prassi del diritto internazionale (risalente al 17^ sec); dall'art. 14, p. 1 e 2, della "Convenzione sul mare territoriale", adottata a Ginevra il 29 aprile 1958 e ratificata e resa esecutiva con L. 8 dicembre 1961, n. 1658, il quale impone a tutti gli Stati aderenti di riconoscere il c.d. "passaggio inoffensivo" a qualsiasi imbarcazione". Secondo la Corte non è quindi concepibile un "demanio comunale" sul mare e nemmeno un rapporto di "custodia" da parte del Comune. La seconda ragione per cui deve ritenersi erronea l'affermazione della Corte d'appello secondo cui il mare costituirebbe oggetto di "custodia" ex art. 2051 c.c., è che "un rapporto di custodia è concepibile solo con riferimento a beni che siano suscettibili di un effettivo potere di controllo da parte del custode". |
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