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Data: 15/05/2002 - Autore: Roberto Cataldi La perdita di un prossimo congiunto dovuta a fatto illecito altrui ha sempre sollevato una serie di problematiche in relazione ai criteri di determinazione del danno risarcibile sia sotto il profilo del danno morale che sotto quello del danno patrimoniale. La Cassazione (Sent. n.4205 del 25 marzo 2002) è ora intervenuta nella delicata questione in relazione ai danni patrimoniali futuri risarcibili sofferti dal coniuge di chi è deceduto a seguito di fatto illecito. Tali danni, che secondo la Corte sono ravvisabili nella perdita di quegli aiuti economici che il defunto avrebbe presumibilmente apportato, assumono l'aspetto del lucro cessante e la determinazione del risarcimento non può che ricorrere a un sistema presuntivo a più incognite che deve fare riferimento al futuro rapporto economico tra i coniugi, al presumibile reddito del defunto e alla parte che sarebbe stata destinata al coniuge. La prova, secondo i Giudici della Cassazione, può considerarsi raggiunta quando risulti, attraverso una valutazione che faccia ricorso a fatti notori e alla comune esperienza, che il defunto avrebbe destinato parte del suo reddito alle necessità del coniuge. Tale principio, secondo la corte vale anche nelle ipotesi in cui il coniuge superstite goda di un reddito proprio se tale reddito non è sufficiente a soddisfare interamente le sue esigenze presenti e future in relazione al tenore di vita, all'educazione, all'istruzione, alla posizione sociale ed all'età. Nella stessa sentenza i Giudici della Cassazione hanno poi affermato che "In tema di risarcimento del danno da illecito, il principio della "compensatio lucri cum damno" trova applicazione solo quando sia il pregiudizio che l'incremento patrimoniale dipendano dal medesimo fatto. Ne consegue che, in caso di morte di una persona cagionata dall'altrui illecito, non rileva che il coniuge diventi titolare di pensione di reversibilità, fondando tale attribuzione su un titolo diverso dall'atto illecito" . |
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