Data: 12/09/2015 17:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Rientra nel contesto dei comportamenti persecutori che caratterizzano lo stalking anche l'aver creato falsi profili sui social network frequentati da maniaci sessuali riconducibili alla vittima che, suo malgrado, finiva per essere contattata da tali inquietanti personaggi che credevano di incontrare in lei un soggetto disponibile per i loro interessi.

I giudici della Corte di Cassazione, sezione feriale penale, con la sentenza n. 36894/2015 (qui sotto allegata), hanno rigettato il ricorso proposto da un uomo condannato per atti persecutori nei confronti di una ragazza con la quale aveva avuto un relazione sentimentale.

Il ricorrente costruisce un ricorso inammissibile, poiché generico e sommario, rispetto alla decisione della Corte d'Appello che non presta fianco a critiche di sorta.
I giudici di seconde cure ben avrebbero riepilogato i fatti quali emergenti dalla denuncia della donna, ex convivente dell'imputato e madre di sua figlia, come ad esempio le testimonianze di coloro che hanno assistito a gravi episodi di violenza fisica perpetrati contro di lei.

Si tratta di episodi inseriti in un contesto molto ampio, fatto di pressanti e ripetute telefonate e minacce e gesti oltremodo invasivi, come l'aver creato profili falsi riferibili alla donna su vari social frequentati da maniaci sessuali così che la stessa finiva per diventare, suo malgrado, oggetto delle insistenze di costoro che pensavano fosse disponibile per i loro interessi.

Addirittura, per gli Ermellini, le reiterate trasgressioni dell'imputato alle prescrizioni e ai divieti impostigli, rendono necessario un aggravamento delle misure cautelari poiché l'intero complesso delle acquisizioni processuali ha provato, oltre ogni ragionevole dubbio, come l'imputato non abbia esitato a malmenare l'ex convivente reiteratamente, anche in presenza di terzi, a terrorizzarla con ripetute minacce, persino di morte, arrivando, a tal fine, anche ad appostarsi sotto l'abitazione della donna, mettendo a repentaglio anche l'incolumità della propria figlia.

Dichiarato inammissibile il ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali.

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