Data: 19/09/2015 16:40:00 - Autore: Valeria Zeppilli
di Valeria Zeppilli – Giurisprudenza e legislatore richiamano gli avvocati al dovere di sintesi: basta atti troppo lunghi che ostacolano il giusto processo! 

Il tema, mormorato spesso negli ultimi anni, recentemente è emerso con toni di certo più decisi: essere concisi favorisce il diritto di difesa e tutela il contraddittorio

Il d.p.c.s. n. 40/2015

Recentemente, per gli atti amministrativi la regolamentazione della lunghezza massima è stata puntualmente definita dal d.p.c.s. n. 40/2015.

Pur con deroghe e eccezioni, in tale settore i ricorsi e gli altri atti difensivi possono ora avere una lunghezza massima di 30 pagine composte da fogli A4, in corpo 12 (o 10 nelle note), con interlinea 1,5 e con margini verticali e orizzontali di almeno 2,5 cm. Non contribuiscono al raggiungimento di tale limite massimo, tuttavia, l'epigrafe, l'indicazione delle parti e dei difensori e le relative formalità, l'individuazione dell'atto impugnato, il riassunto preliminare di massimo 2 pagine, le conclusioni, le dichiarazioni richieste dalla legge, la data e il luogo delle sottoscrizioni, l'indice degli allegati, le procure, le relazioni di notifica e le relative richieste e dichiarazioni.

Il decreto legge n. 83/2015

Anche nel settore civilistico, sebbene solo per il processo telematico, recentissimamente è stato previsto un espresso dovere di sinteticità in via legislativa, che peraltro non riguarda solo gli avvocati ma anche i magistrati. 

Il decreto legge numero 83 del 2015 (convertito dalla l. n. 132/2015), infatti, ha introdotto nel decreto legge numero 179/2012 la prescrizione in base alla quale gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati in via telematica vanno redatti in maniera sintetica. 

Con riferimento ai magistrati, in ogni caso, già il codice di rito, all'articolo 132, stabiliva che essi in sentenza devono provvedere ad una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto poste alla base della decisione. 

Le sentenze sugli atti civili e le raccomandazioni dei Tribunali

Tuttavia, a scagliarsi contro la prolissità degli avvocati, specie negli ultimi anni, è stata soprattutto la giurisprudenza.

Si pensi, ad esempio, alla sentenza della Corte di Cassazione n. 11199/2012, nella quale si è sancito che l'eccessiva ampiezza degli atti, pur non violando prescrizioni formali di legge, rischia di contrastare la celerità di sviluppo del processo e non giova neanche alla chiarezza degli atti stessi.

Si pensi, ancora, alla sentenza numero 20589 del 30 settembre 2014, con la quale i giudici di Piazza Cavour hanno addirittura dichiarato inammissibile un ricorso troppo lungo e prolisso. 

Si pensi, infine, all'ordinanza del 14 ottobre 2014 con la quale la Corte di Appello di Milano ha ordinato a un avvocato di riassumere il proprio atto difensivo, suddividerlo in paragrafi e corredarlo di indice: solo la sobrietà, infatti, garantisce il rispetto del principio del contraddittorio e pone i magistrati nella condizione di potersi districare al meglio all'interno della materia del contendere. 

A violare la regola della sinteticità, quindi, si rischia di essere penalizzati in sede di determinazione del riparto delle spese processuali o, addirittura, anche ai fini probatori

Del resto, anche il consiglio nazionale forense si è schierato per la sobrietà e per la Corte europea per i diritti dell'uomo i ricorsi solo eccezionalmente possono superare le dieci pagine.

La redazione di linee guida

Proprio sotto tale spinta, alcuni tribunali e consigli dell'ordine hanno deciso di orientare l'attività degli operatori del settore attraverso la diffusione di “linee guida”

Si pensi, ad esempio, alle raccomandazioni sulla redazione degli atti difensivi diffuse dalla nona sezione civile del Tribunale di Milano nel 2014 o a quelle redatte dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano, sempre nel 2014. 


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