Data: 21/09/2015 16:00:00 - Autore: Marina Crisafi

di Marina Crisafi - Musica ad alto volume, schiamazzi degli avventori, ma anche forti rumori provenienti dai compressori di aria condizionata. Molti i fastidi arrecati da un night club agli inquilini del condominio adiacente che valgono alla sua titolare una condanna per il reato di cui all'art. 659 c.p. confermata anche in Cassazione.

Ribaltando il verdetto del Gip del Tribunale di Larino che aveva assolto la donna e dando ragione invece al procuratore generale, gli Ermellini (con la sentenza n. 37097/2015 qui sotto allegata) hanno ribadito che in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone nell'ambito di una attività legittimamente autorizzata, è configurabile soltanto “l'illecito amministrativo di cui all'art. 10, comma secondo, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, ove si verifichi solo il mero superamento dei limiti differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia”. Si configura, invece, il reato di cui al primo comma dell'art. 659 c.p. “ove il fatto costitutivo dell'illecito sia rappresentato da qualcosa di diverso dal mero superamento dei limiti di rumore, per effetto di un esercizio del mestiere che ecceda le sue normali modalità o ne costituisca un uso smodato, indipendentemente perciò dalla fonte sonora dalla quale i rumori provengono”; e ancora quello di cui al secondo comma qualora la violazione “riguardi altre prescrizioni legali o della Autorità, attinenti all'esercizio del mestiere rumoroso, diverse da quelle impositive di limiti di immissioni acustica”.

Esiste in merito un diverso indirizzo, danno conto i giudici di piazza Cavour, secondo il quale “il mancato rispetto dei limiti di emissione del rumore stabiliti dal D.P.C.M. 1 marzo 1991, può integrare la fattispecie di reato prevista dall'art. 659, comma secondo, cod. pen., non essendo applicabile il principio di specialità di cui all'art. 9 della legge n. 689 del 1981, in relazione all'illecito amministrativo previsto dall'art. 10, comma secondo, della legge n. 447 del 1995, quando sussista la concreta idoneità della condotta rumorosa a recare disturbo al riposo e alle occupazioni di una pluralità indeterminata di persone, che determina la messa in pericolo del bene della pubblica tranquillità tutelato da entrambi i commi dell'art. 659 cod. pen.”.

Ma ciò che conta, ai fini del caso di specie, è che per entrambi gli indirizzi il superamento dei limiti differenziali dei rumori, quando da ciò derivi “la concreta idoneità a disturbare un numero indeterminato di persone, rende l'attività che li produce comunque penalmente rilevante”, essendoci diversità di vedute solo in ordine alla fattispecie applicabile (il primo o il secondo comma dell'art. 659 c.p.).

Per cui, sbaglia il giudice di merito a qualificare la condotta solo come illecito amministrativo e altresì a ritenere insufficienti a sostenere l'accusa in mancanza di indagini fonometriche le sole dichiarazioni dei denuncianti. Anzitutto perché il reato in esame può essere dimostrato con qualsiasi mezzo di prova anche dichiarativa, in secondo luogo perché se il giudice ritiene non complete le indagini o inattendibile la prova dichiarata anziché pronunciare causa di non punibilità deve restituire gli atti al pm.

In definitiva, quindi sentenza annullata senza rinvio e atti restituiti al tribunale.

Vedi anche: Immissioni di rumore. Come tutelarsi contro le immissioni di rumori molesti

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