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Data: 24/09/2015 08:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - In tema di favoreggiamento ascritto ad un soggetto esercente la professione sanitaria,la situazione di illegalità in cui versa il soggetto che necessita di cure non può costituire in nessun caso ostacolo alla tutela della salute. Per contro, la condotta del sanitario chiamato ad esercitare il dovere professionale di tutela della salute del cittadino, non può esorbitare il limite della diagnosi e della terapia, onde lo stesso non deve porre in essere condotte "aggiuntive" di altra natura che travalichino tale limite e siano finalizzare soggettivamente e oggettivamente a far elidere la persona assistita alle investigazioni dell'autorità o a sottrarla alle ricerche di quest'ultima, giacché in siffatta ipotesi risultano integrati gli estremi del favoreggiamento. Lo precisa la sesta sezione Penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 38281/15 (qui sotto allegata) sul ricorso proposto da due medici del napoletano condannati per il reato ex art. 378 c.p. dalla Corte d'Appello di Napoli. Uno dei due dottori veniva contattato da una paziente per apprestare a domicilio un intervento chirurgico ad un terzo soggetto che necessitava di cure urgenti. Non essendo costui chirurgo, la richiesta veniva deviata al collega, precisandogli però che la famiglia della persona da soccorrere "non era buona". Chiaro, al momento della visita, che il paziente era stato probabilmente coinvolto in uno scontro tra clan rivali, procurandosi una ferita d'arma da fuoco. I giudici di merito, ritengono ascrivibile ad ambedue i soggetti il reato di favoreggiamento, per aver prestato soccorso senza poi procedere a segnalare il tutto agli organi di polizia competenti, nell'esigenza di garantire clandestinità al paziente. Gli Ermellini ritengono invece che il fatto non sussiste. Per i giudici, il medico è tenuto ad intervenire dinnanzi a situazioni nelle quali si pone seriamente in pericolo l'integrità fisica del soggetto che le rivendica, nonostante la situazione di illegalità in cui versa quest'ultimo e per le dinamiche del fatto che ha causalmente provocato la patologia dell'intervento sanitario, anche se presumibilmente correlate ad un illecito possibile oggetto di indagine. La primaria rilevanza costituzionale dei valori della vita e della salute, quindi la doverosità della prestazione professionale, rendono esente da sanzione penale la condotta del sanitario che presti le cure in situazioni siffatte. L'art. 378 c.p., nel punire chiunque aiuta taluno a sottrarsi alle ricerche dell'autorità, non impone un obbligo di favorire ricerche e indagini. Per il favoreggiamento del sanitario, escluso ogni rilievo riguardante le cure sanitarie prestate, sarebbe stata necessaria un'ulteriore condotta positiva di aiuto che non c'è stata: il medico ha un dovere giuridico di assistere chiunque necessiti delle sue prestazioni professionali, a prescindere dal modo e dall'ambiente in cui le cure poi vengono prestate. Per questo motivo sono irrilevanti le circostanze evidenziate dai giudici partenopei riguardanti il luogo di cura (un'abitazione privata non lontana da strutture di soccorso) e la compiutezza delle stesse. Se il medico non avesse eseguito la prestazione, presumibilmente il ferito avrebbe dovuto rivolgersi ad una struttura pubblica disvelando la vicenda sottesa alla ferita riscontrata. Penalizzando il medico si finirebbe per sanzionare quindi non un aiuto alla elusione bensì il mancato aiuto alle indagini, conclusione in contrasto con la norma di riferimento. Anche la condotta del collega che ha avvisato il medico intervenuto in loco, è stata resa in esecuzione del dovere giuridico del medico di assistere chiunque abbia necessita di un intervento sanitario. |
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