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Data: 28/09/2015 17:00:00 - Autore: Law In Action - di P. Storani di Paolo M. Storani - A volte ritornano? Il primo pensiero va all'art. 374 c.p.c. nella parte in cui impone alla Sezione semplice che "ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite" la rimessione a queste ultime per la statuizione sul ricorso per cassazione. Ho, infatti, davanti agli occhi il passo finale della sentenza della Sez. III della S.C. del 20 agosto 2015, n. 16993, che - seppur in diversa materia: qui è la responsabilità sanitaria, là era la morte del congiunto in un incidente stradale - sembra contraddire il colpo di fioretto mortifero assestato dalle Sezioni Unite il 22 luglio 2015, con l'importante pronuncia n. 15350, Pres. Rovelli, Est. Salmè, PM Apice (conclusioni difformi), ricorrenti Massaro e altri c. Unipol Sai S.p.A., alla risarcibilità del danno tanatologico. Si è detto in occasione di precedenti contributi pubblicati su queste stesse colonne di LIA Law In Action che le Sezioni Unite ci hanno messo un tempo infinito per emettere il loro stringato e minimale verdetto, verosimilmente perché il contrasto all'interno del prestigioso Collegio dev'esser stato rovente e durissimo. Sta di fatto che i parenti della vittima non hanno attualmente diritto alla trasmissione iure hereditatis del danno da perdita della vita immediatamente conseguente alle lesioni derivanti da fatto illecito: si tratta, per ricordare la definizione della Prof. Emanuela Navarretta in Giustizia Civile.com del 14 settembre 2015, del "danno per l'istantanea perdita del valore della vita trasmissibile con il meccanismo successorio". Così le Sezioni Unite hanno, difatti, composto il dissidio insorto con la sentenza cosiddetta Scarano dal cognome del Cons. Luigi Alessandro, n. 1361 del 2014. In sostanza, quella poderosa decisione viene da taluni definita a mo' di un colpo di mano per introdurre nel nostro ordinamento il danno tanatologico iure hereditario. L'orientamento tradizionale e dominante negava che la perdita della vita implicasse la nascita di un diritto risarcitorio in capo alla vittima; per contro, attribuiva la risarcibilità iure proprio dei danni da perdita del congiunto a vantaggio dei parenti. Inoltre, riconosceva la risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali differenti dalla perdita della vita in sé considerata, risentiti direttamente dalla vittima nel caso in cui la morte non fosse immediata, ma sopraggiunta a seguito di un'agonia, più o meno protratta, vale a dire il danno biologico terminale e il danno morale terminale, c.d. catastrofico. La Sez. III con la motivazione della pronuncia n. 16993 del 20 agosto 2015 sta criticando la sentenza della corte di merito con riferimento ad una fattispecie di colpa del ginecologo. Il medico ebbe in cura la paziente per un lasso di tempo di cinque mesi durante il quale costei presentò episodi di perdite ematiche dai genitali: effettuò controlli clinici, controllò e poi rimosse la spirale, eseguì un paio di ecografie, prescrisse antibiotici utero tonici. Ebbene, quando la donna si ricoverò presso l'Istituto Materno Infantile per tre giorni, le fu diagnosticato un carcinoma mediante biopsia del canale cervicale: il tumore era già presente al tempo delle plurime visite del medico, che ebbe un approccio al caso quanto meno "insufficiente". Ciò nonostante si pervenne ad escludere la responsabilità del ginecologo! La motivazione della Corte di merito lascia basiti. "I consulenti hanno confermato che, secondo l'id quod plerumque accidit, poco o nulla sarebbe cambiato circa il decorso clinico, con specifico riferimento alla forma tumorale, particolarmente maligna e aggressiva". Talché, se ne deduceva incredibilmente la conferma dell'"insussistenza del nesso causale tra l'aggravamento della malattia e il comportamento omissivo del sanitario". Il che porta a concludere che vi sono in Italia ancora corti di merito che ignorano o mortificano il concetto di cure e di interventi palliativi. Che poi la situazione deponga per un prossimo e ineluttabile exitus poco o nulla rileva. Veniamo ora a noi, vale a dire al danno da perdita della vita. Parimenti per difetto del nesso di causalità, la corte di merito negava il danno tanatologico, "consistente nella sofferenza patita dalla (paziente) prima di morire durante l'agonia". Va bene che la camera di consiglio è di data antecedente (28 aprile 2015) rispetto al fatidico 22 luglio 2015, ma la chiusa della pronuncia che Vi proponiamo in calce a questo pezzetto fa riflettere sulla effettiva stabilità dell'enunciato delle Sezioni Unite. I due precedenti contributi editi da questa Rivista telematica sul medesimo argomento datano 23 luglio 2015 e 7 agosto 2015. Buona lettura! |
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