Data: 29/09/2015 11:00:00 - Autore: Marina Crisafi

di Marina Crisafi - Troppe le criticità da tempo evidenziate dagli avvocati e rimaste inascoltate. Queste le motivazioni che hanno portato l'Anf ad impugnare il regolamento sulle specializzazioni forensi davanti al Tar.

Il regolamento, pubblicato in G.U. il 15 settembre scorso e che entrerà in vigore dal prossimo 14 novembre, disciplina il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, dando attuazione delle previsioni della legge professionale forense (leggi: “Avvocati: da oggi via alle specializzazioni”).

I requisiti richiesti per diventare specialisti in una delle 18 aree previste (diritto di famiglia, amministrativo, penale, ecc.), sono la frequentazione con esito positivo di corsi ad hoc di durata almeno biennale ovvero, per gli avvocati che hanno un'anzianità forense di almeno 8 anni (e che abbiano esercitato negli ultimi 5 la professione “in modo assiduo, prevalente e continuativo”) aver trattato almeno 15 affari l'anno “rilevanti per quantità e qualità” in uno dei settori di specializzazione.

Per l'Associazione nazionale forense, come riportato nel comunicato stampa pubblicato ieri sul sito ufficiale,


il testo del regolamento n. 144/2015 presenta “evidenti profili di illegittimità” ed ecco la decisione di impugnarlo di fronte al Tar del Lazio.

Alle criticità già presentate in partenza, rende noto infatti il segretario generale dell'associazione, Luigi Pansini, si sono aggiunte quelle “addirittura ulteriori – emerse - nel corso dell'iter amministrativo di formazione del provvedimento”.

Quanto ai profili di illegittimità, anzitutto, lamenta Pansini, si parte dalla previsione di ottenere una specializzazione “a seguito di un percorso esclusivamente teorico e culturale”, con la conseguente palese “diversità di trattamento ed il disvalore dell'effettiva esperienza professionale, anche con riferimento al mantenimento del titolo di specialista, rispetto all'attività di frequenza di corsi normativi”.

Per non parlare della valutazione della “qualità” degli incarichi ai fini della comprovata esperienza che “non è ancorata ad alcun criterio oggettivo ma rimessa ad un apprezzamento ingiustificatamente discrezionale”.

“Evidenti poi – per il segretario dell'Anf - la generica specializzazione in diritto penale, da un lato, e il numero molto alto di titoli specialisti nell'ambito del diritto civile, dall'altro, prospettandosi un'ulteriore disparità di trattamento tra gli iscritti agli albi. E lo stesso dicasi per il diritto amministrativo”.

Quelle elencate sono solo alcune delle criticità portate all'attenzione di politica e istituzioni forensi dall'Anf con due mozioni rimaste, chiosa Pasini, “rimaste lettera morta, anche in sede di attuazione della volontà degli avvocati” e che hanno condotto alla decisione di adire il giudice amministrativo.

L'ultima parola ora, dunque, spetta al Tar.


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