Data: 01/10/2015 19:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli
di Valeria Zeppilli – L'ex coniuge avrebbe potuto rendere più produttiva la propria attività trasformandola, ma si è rifiutata di farlo per ragioni etiche? Ciò non basta per considerare non dovuto a suo vantaggio l'assegno divorzile.  

Con tale questione, in particolare, si è recentemente confrontata la Corte di Cassazione, analizzando un caso che ha portato al deposito, il 30 settembre, dell'ordinanza numero 19581/2015 (qui sotto allegata). 

La questione aveva ad oggetto, nel dettaglio, la richiesta di un uomo di essere manlevato dall'obbligo di versare alla ex moglie l'assegno divorzile di 500 euro mensili, come da condanna della Corte d'appello. 

La Cassazione, nell'esaminare la vicenda oggetto di contenzioso, ha rilevato che nella fase di merito erano state riscontrate, e adeguatamente valutate, sia la forte sperequazione economica esistente tra le parti, sia la sussistenza degli altri requisiti che legittimano l'attribuzione dell'assegno divorzile, in tema di capacità lavorativa e di idoneità alla produzione di reddito, come individuati dalla legge e dalla giurisprudenza. 

A fronte di tale circostanza, per i giudici a nulla rileva che la donna, che per diversi anni aveva gestito un allevamento da riproduzione di struzzi, si era rifiutata di trasformare l'attività in allevamento destinato alla macellazione

Le questioni etiche poste alla base della scelta e dalle quali è derivato un declino dell'attività imprenditoriale della ex coniuge, infatti, non sono da sole idonee a farle perdere il diritto all'assegno, che quindi deve continuare ad esserle corrisposto. 


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