|
Data: 12/10/2015 14:30:00 - Autore: Valeria Zeppilli di Valeria Zeppilli – Il querelante può essere condannato a rifondere le spese sostenute dal querelato solo quando la richiesta sia presentata al giudice penale. Così, la Corte di Cassazione, con l'ordinanza numero 20313 depositata il 9 ottobre 2015 (qui sotto allegata) ha accolto il ricorso di una donna avverso una sentenza con la quale era stata ritenuta fondata la domanda risarcitoria a suo carico, presentata dalla persona che ella stessa aveva querelato ma che era stata assolta. Per i giudici, infatti, contrariamente a quanto avvenuto, l'imputato assolto può richiedere il danno economico derivante dalla necessità di difendersi in giudizio solo ed esclusivamente al giudice penale. Nel caso di specie, l'errore effettuato dal giudice del merito, come si legge in motivazione, non ha riguardato strettamente tale principio di diritto ma è consistito nell'aver qualificato l'onere economico che il querelato ha sostenuto per affrontare il giudizio come un danno ai sensi dell'articolo 2043 c.c., in quanto tale non soggetto alla competenza funzionale del giudice penale. Le spese sostenute per la difesa, infatti, pur potendo consistere in un danno da un punto di vista economico, non consistono in un danno in senso giuridico ed equiparare la loro disciplina a quella del diritto al risarcimento del danno significherebbe, per la Corte, abrogare la normativa inerente la competenza a provvedere sulle spese. Oltretutto, diversamente opinando si giungerebbe all'improbabile conclusione di poter richiedere con un autonomo giudizio anche le spese del processo civile. Quindi, pur se affrontate per difendersi in un giudizio provocato da un fatto illecito del terzo, le spese processuali restano sempre assoggettate alla loro propria disciplina e la loro trattazione, nel caso di specie, è devoluta al giudice penale. |
|