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Data: 22/10/2015 16:00:00 - Autore: Luca Trognacara Avv. Luca Trognacara - Il tema oggetto di relazione appare senza dubbio suscettibile a destare uno speciale interesse ed essere ritenuto avvincente in relazione alle straordinariamente importanti tematiche che ne fanno da sfondo ed al contempo da cornice. Non si può infatti sottotacere che il tema del consenso informato, per le prestazioni sanitarie rese per mezzo di interposta persona, lambisce, anzi tocca, se non addirittura sfonda argomenti e tematiche svisceralmente sentite da ogni componente del genere umano, ciascuno con i propri tempi, le proprie sensibilità, il proprio stato umano, ovviamente condizionato dalla propria condizione anagrafica, dal proprio stato di salute e dalla generalità delle persone che affollano e condizionano la sua esistenza ed il suo concreto agire. Ciascuno fa i propri conti e le proprie riflessioni su importanti e sacrali temi come il bene–vita, il bene–salute, la qualità di vita, il diritto a curarsi e le modalità per l'esercizio del suddetto diritto e finanche il diritto, o preteso tale o comunque senza dubbio controverso sotto il profilo etico ed in base ai dettami cattolici: o in maniera pressoché continua se lui stesso, o le persone più care, necessitano di interventi sanitari rilevanti per la salute, quanto in maniera episodica e quindi nei momenti di distacco dagli affari quotidiani laddove si stia trascorrendo fortunatamente una fase di vita priva di problematiche di salute familiari e personali. Rendendo più chiaro il mio ragionamento mi riferisco alle questioni di cui dovrebbe farsi finalmente carico il legislatore (vedasi testamento biologico, o meglio denominato quale cosiddetta "Dichiarazione Anticipata di trattamento" o Dat). Formulate, come mi sembrava del tutto doveroso le sopra esposte premesse, va affrontato il tema in questione, parlando innanzitutto del cd. consenso informato a livello nozionistico. Il consenso informato costituisce una forma di autorizzazione del paziente a ricevere un qualunque trattamento sanitario, medico o infermieristico, previa la necessaria informazione sul caso, da parte del medico proponente: in sostanza, il malato ha il diritto/dovere di conoscere tutte le informazioni disponibili sulla propria salute e la propria malattia, potendo chiedere al medico ogni informazione ritenuta pertinente e chiarificatrice, sicché avrà poi la possibilità di scegliere, in modo informato, se sottoporsi a una determinata terapia o esame diagnostico. Quanto all'inquadramento normativo, va tenuto conto dell'art. 32 della Costituzione il quale sancisce che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, in sintonia con il principio fondamentale della inviolabilità della libertà personale (art. 13). Sul punto giova ricordare che l'ordinamento giuridico italiano con la legge del 28 marzo 2001, n. 145 ha ratificato la Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997. La convenzione di Oviedo in tema di consenso informato infatti stabilisce come regola generale che: "Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell'intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso" (art. 5). Allacciandoci quindi al tema della relazione, va aggiunto che la Convenzione di Oviedo stabilisce inoltre la necessità del consenso di un "rappresentante" del paziente, nel caso in cui questo sia un minore o sia impedito ad esprimersi. Infine, è inoltre stabilito che: "I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell'intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione". Quanto alla forma, il consenso deve essere scritto nei casi in cui l'esame clinico o la terapia medica, possano comportare gravi conseguenze per la salute e l'incolumità della persona. Se il consenso è rifiutato, il medico ha l'obbligo di non eseguire, o di interrompere, l'esame clinico o la terapia in questione. Il consenso scritto è anche obbligatorio per legge quando si dona o si riceve sangue, si partecipa alla sperimentazione di un farmaco o negli accertamenti di un'infezione da HIV, si è sottoposti ad anestesia, trapianto di rene tra viventi, interruzione volontaria della gravidanza, rettificazione in materia di attribuzione di sesso e nella procreazione medicalmente assistita. Negli altri casi, soprattutto quando è consolidato il rapporto di fiducia tra il medico e l'ammalato, il consenso può essere solo verbale, ma deve essere espresso direttamente al medico. In ogni caso, il consenso informato espresso dal malato deve essere attuale, deve cioè riguardare una situazione presente e non una futura (una diversa regolamentazione è ovviamente attendibile, ove e quando dovessero essere finalmente riconosciuti i testamenti biologici). Il consenso dal paziente, può essere revocato in ogni momento; pertanto, gli operatori sanitari devono assicurarsi che rimanga presente per tutta la durata del trattamento: ove la cura considerata prevede più fasi diverse e separabili, la persona malata deve dare il suo consenso per ogni singola parte di cura. Le eccezioni all'obbligo del consenso informato, sono rinvenibili nei casi in cui:
Il principio del consenso informato costituisce, dunque, legittimazione e fondamento del trattamento medico, e da esso si può prescindere solo in caso di urgenza terapeutica tale da rendere impossibile ottenere il consenso – ed in cui, pertanto, il medico avrà un obbligo, sanzionato penalmente, di praticare ogni intervento necessario a mantenere in vita il paziente, e nei casi, eccezionali e tassativi, di trattamento obbligatorio per Legge, a norma dell'art. 32, secondo comma, Cost., che, comunque, pone al legislatore ordinario il limite del rispetto della persona umana. Il diritto al consenso informato comprende non solo la facoltà di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche il suo risvolto negativo, consistente nella possibilità di rifiutare la terapia, ovvero di decidere di interromperla; Svolta questa premessa, vediamo come va coordinata la fattispecie del consenso informato con l'istituto dell'amministrazione di sostegno. Non vi è alcun dubbio che per la giurisprudenza di merito (soffermandomi su pronunce recenti, richiamo Trib. Reggio Emilia, decreto 24 luglio 2012, laddove l'ADS è stato autorizzato a prestare il consenso per cure palliative in favore della beneficiaria affetta da sclerosi multipla maligna in fase avanzata), la fattispecie dell'amministrazione di sostegno trova piena applicazione. In effetti, per il combinato disposto del nuovo art. 404 c.c. e dell'art. 6 della convenzione di Oviedo ratificata in Italia dalla L.145/01, è consentita, nel caso di persona che per infermità psichica o fisica sia impossibilitata a prestare il proprio consenso ai trattamenti sanitari, la nomina di un amministratore di sostegno che la assista negli atti a cui la stessa non sia in grado di provvedere direttamente; il potere di esprimere il consenso agli atti sanitari, in nome e per conto del beneficiario, può tuttavia essere deferito all'amministratore solo previa ricostruzione della presumibile volontà e degli intendimenti del beneficiario in relazione all'intervento proposto. All'esito dell'accertamento in ordine alla presumibile volontà del beneficiario è possibile autorizzare l'amministratore di sostegno a prestare il consenso, il luogo del beneficiario, per cure palliative alternative alle procedure invasive, quali intubazione meccanica, se la scelta così attuata è conforme all'interesse e alla volontà della persona beneficiaria stessa. Il principio del consenso da parte di un rappresentante legale, è stato espressamente affermato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 21748 del 2007 (tristemente nota come Caso Englaro) - che senz'altro rappresenta il più completo arresto sul tema - ove viene fatto riferimento, in premessa, al principio del "consenso informato", che sta alla base del rapporto medico paziente e costituisce "norma di legittimazione del trattamento sanitario" (altrimenti illecito). La sentenza in questione ha posto in rilievo l'innegabile correlazione del "consenso informato" con la "facoltà del paziente non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale". Nell'occasione, è stato altresì precisato che "…il rifiuto delle terapie medico-chirurgiche, anche quando conduce alla morte, non può essere scambiato per un'ipotesi di eutanasia, ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, esprimendo piuttosto tale rifiuto, un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale", per cui, correlativamente, "…in presenza di una determinazione autentica e genuina" dell'interessato nel senso del rifiuto della cura, il medico "non può che fermarsi, ancorché l'omissione dell'intervento terapeutico possa cagionare il pericolo di un aggravamento dello stato di salute dell'infermo e, persino, la sua morte" (vedi Cass. Penale 11 luglio 2002). Nel citato arresto, la Corte ha in particolare affrontato il problema che si pone nel caso in cui il soggetto (adulto) non sia in grado di manifestare la propria volontà a causa del suo stato di totale incapacità e non abbia, prima di cadere in tale condizione, quando era ancora nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, specificamente indicato, attraverso dichiarazioni di volontà anticipate, quali terapie egli avrebbe desiderato ricevere e quali invece avrebbe inteso rifiutare nel caso in cui fosse venuto a trovarsi in uno stato di incoscienza. In coerenza con l'esigenza di tutela dei valori di libertà e dignità della persona, la Suprema Corte è pervenuta alla conclusione che "…all'individuo che, prima di cadere nello stato di totale ed assoluta incoscienza, tipica dello stato vegetativo permanente, abbia manifestato, in forma espressa o anche attraverso i propri convincimenti, il proprio stile di vita e i valori di riferimento, l'inaccettabilità per sé dell'idea di un corpo destinato, grazie a terapie mediche, a sopravvivere alla mente, l'ordinamento dà la possibilità di far sentire la propria voce in merito alla disattivazione di quel trattamento attraverso il rappresentante legale", con la necessaria precisazione che "…la funzionalizzazione del potere di rappresentanza, dovendo esso essere orientato alla tutela del diritto alla vita del rappresentato, consenta di giungere ad una interruzione delle cure soltanto in casi estremi". Sul punto la Corte ha chiarito che, nel consentire al trattamento sulla persona dell'incapace, la rappresentanza del tutore/amministratore di sostegno è sottoposta a un duplice ordine di vincoli, dovendo egli "...innanzitutto, agire nell'esclusivo interesse dell'incapace; e, nella ricerca delbest interest, dovendo decidere non al posto dell'incapace né per l'incapace, ma con l'incapace, quindi, ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente, già adulto prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza", con la conseguenza che al Giudice spetta propriamente ed unicamente il controllo della legittimità della scelta operata dal tutore o dall'amministratore nell'interesse dell'incapace. Ebbene, alla luce della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, deve dunque ritenersi che al tutore/amministratore di sostegno prima, ed al giudice poi, spetti il delicato compito, nell'ipotesi di soggetto incapace di esprimere autonomamente le proprie determinazioni, di procedere alla ricostruzione della volontà del malato rispetto alle scelte di cura. Tale attività può essere resa più agevole dalla circostanza che il beneficiario abbia, in passato, espressamente dichiarato di consentire o meno a determinati trattamenti terapeutici (volontà espressa). Tuttavia all'amministratore può essere attribuito al più, il compito di comunicare la volontà presunta del beneficiario, ove quest'ultimo sia attualmente nell'impossibilità di farlo personalmente, nei casi in cui lo stile di vita, la personalità, le convinzioni etiche e religiose, culturali e filosofiche del beneficiario suggeriscano in quale direzione egli si sarebbe orientato rispetto alla singola scelta di cura. Scelte non certo facili e, come esprimevo all'inizio della relazione, in uno scenario come quello attuale, in cui una persona (un paziente), può essere mantenuta a lungo in vita, in regime di pressoché totale privazione di ogni funzione vitale e relazionale non devono essere demandate alla magistratura, ma al legislatore che deve farsi responsabilmente carico di normare su argomenti e tematiche in relazione alle quali appare sempre più irresponsabile il procrastinarsi di ogni determinazione di carattere legislativo. Luca Trognacara - Avvocato del Foro di Padova Studio Legale Avv. Luca Trognacara
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