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Data: 24/10/2015 09:30:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - È legittimo il licenziamento del lavoratore che, assente dal suo posto di lavoro in azienda a causa di un infortunio, svolge attività idonee ad aggravare il suo stato di salute e a ritardare la guarigione. Il suo comportamento, contrario ai doveri generali di buona fede e correttezza, nonché degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, viola il contratto di lavoro. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 21438/2015 (qui sotto allegata) sul ricorso proposto da un lavoratore contro l'azienda presso cui era occupato, inteso a far dichiarare l'illegittimità del licenziamento da questa intimatogli. Come rilevato dai giudici merito, la giusta causa del licenziamento derivava dal fatto che l'uomo avesse lavorato su un terreno di sua proprietà, arando col trattore e coltivando alberi di agrumi, mentre era assente dal suo posto di lavoro a causa di un infortunio al dito della mano. Il ricorrente si era recto sul fondo alla guida di un'autovettura, nonostante l'ingessatura nel polso sinistro, svolgendo altre attività potenzialmente idonee ad aggravare il suo stato di saluto e a ritardarne la guarigione con "altissimo grado di probabilità" trattandosi della funzionalità di una mano. Il ricorrente assume, invece, la liceità del proprio comportamento, nonostante l'assenza per malattia, poiché la rimozione della stessa ortopedica per sanare la frattura gli avrebbe consentito di esercitare un'attività lavorativa o extra lavorativa compatibile con la malattia sofferta. Gli Ermellini non condividono le doglianze attoree, precisando che "l'esercizio, durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia o per infortunio, di attività, lavorative o no, tali da poter porre in pericolo, anche senza concreto ed effettivo pregiudizio, la guarigione entro il tempo di assenza ingiustificata, integra un inadempimento dell'obbligo derivante dal contratto di lavoro". In particolare risultano violati i doveri generali di correttezza e di buona fede nonché gli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, con una gravità tale da poter giustificare il licenziamento, anche in difetto di previsione del contratto collettivo o del codice disciplinare. Per la Suprema Corte, i giudici di merito, con valutazione incensurabile, tramite anche l'ausilio di una consulenza tecnica, hanno validamente considerato l'attività svolta (seppur svolta per poco tempo) come idonea, con altissima probabilità, a compromettere o ritardare la guarigione. Non avendo, inoltre, il ricorrente depositato il contratto collettivo del quale deduce la violazione (poiché sostiene che, nell'ipotesi esaminata, per gli addetti di industria chimica non sia previsto il licenziamento) la Corte si vede costretta a rigettare integralmente il ricorso.
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