Data: 30/10/2015 19:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli

di Valeria Zeppilli – Come noto, l'ammontare dell'assegno divorzile va determinato utilizzando, come base di riferimento, il tenore di vita avuto in costanza di matrimonio dal coniuge che ne beneficia, tenore di vita del quale questi aveva ragionevoli aspettative di continuare a beneficiare laddove il vincolo matrimoniale fosse perdurato.

L'orientamento che assume come punto di riferimento per il calcolo il tenore di vita matrimoniale è ormai consolidato in giurisprudenza.

Esso, tuttavia, spesso non tiene conto del fatto che non sempre è agevole garantire all'ex coniuge il mantenimento del tenore di vita senza sacrificare del tutto i propri interessi.

Basti considerare che la convivenza tra due persone comporta dei vantaggi da un punto di vista economico rispetto alla condizione in cui due persone vivono separate: le spese per le bollette possono essere meglio ammortizzate e più in generale tutte le spese per la casa sono decisamente ridotte.

Si pensi, ad esempio, alla necessità del coniuge al quale non sia assegnata la casa coniugale di trovare e mantenere un nuovo alloggio.

È indubbio che tali circostanze influiscono necessariamente sulla possibilità di mantenere lo stesso tenore di vita che i coniugi avevano in costanza di matrimonio.

Nonostante sia un problema del quale non sempre si tiene adeguatamente conto, la giurisprudenza sia di legittimità che di merito si sta mostrando negli ultimi anni di certo più sensibile a queste tematiche.

La prima interessante apertura in tal senso si è avuta già con la sentenza numero 13592 del 12 giugno 2006, con la quale la Corte di cassazione ha ritenuto che il giudice del merito, una volta accertato il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio, deve anche indagare se ciascun coniuge possa mantenerlo indipendentemente dalla percezione dell'assegno e, laddove la risposta sia negativa, deve necessariamente valutare i mezzi economici che ciascun coniuge abbia in concreto a disposizione.

Ma è solo recentemente che alcune lungimiranti sentenze di merito hanno maggiormente approfondito e tenuto conto di tale problematica, ancora troppo spesso sottovalutata.

A tal proposito merita senza dubbio di essere menzionata la sentenza numero 2120 del 23 settembre 2008, con la quale il Tribunale di Bari ha aderito al principio di base per il quale l'assegno divorzile deve essere parametrato al tenore di vita in costanza di matrimonio, ma lo ha bilanciato con le conseguenze che inevitabilmente derivano dal divorzio in termini economici.

Infatti, tale sentenza ha dimostrato di tener conto certamente del fatto che la separazione e il divorzio non devono incidere negativamente sull'originario nucleo familiare ma a coloro che ne fanno parte deve essere assicurato il godimento di un tenore di vita che, almeno tendenzialmente, risulti analogo a quello precedente. Allo stesso tempo, però, i giudici hanno chiarito che, in ogni caso, non può essere trascurata l'indubitabile circostanza che “il raddoppio dei costi che la nuova dissociazione della famiglia comporta impone un contenimento delle esigenze di tutti, a meno di non volere sensibilmente pregiudicare l'analogo e paritetico diritto del marito obbligato a conservare anche egli un tenore di vita simile (ma mai uguale) a quello condotto in precedenza”.

Ancor più recentemente, in tal senso è intervenuta la sentenza numero 6007/2014, emessa dalla prima sezione del Tribunale di Roma, nella quale si è ribadito che la determinazione dell'assegno divorzile non può prescindere da una corretta valutazione della situazione reddituale e patrimoniale di entrambi i coniugi, che permetta di capire se sia possibile riuscire a garantire a entrambe le parti il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Per il giudice capitolino, infatti, la determinazione in concreto dell'assegno di divorzio va fatta sulla base di una valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nella legge sul divorzio, utilizzandoli come strumento per moderare e diminuire la somma considerabile in astratto.

Tali criteri, insomma, in ipotesi estreme possono addirittura azzerare l'assegno divorzile, se la conservazione del tenore di vita finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione.


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