|
Data: 29/10/2015 21:00:00 - Autore: Marina Crisafi di Marina Crisafi - Lui e lei si lasciano davanti al giudice che li autorizza a vivere separati, ma lei continua ad abitare nella casa coniugale, di esclusiva proprietà dell'ex marito. Qualche tempo dopo si allontana per una breve vacanza e lui ne approfitta per cambiare le serrature, scrivendole di averlo dovuto fare perché aveva perso le chiavi. Morale della favola: quando la donna ritorna non può più entrare in casa e sul cancello trova una lettera contenente l'intimazione al rilascio della casa coniugale. Da qui, l'azione di spoglio per ottenere la reintegrazione del possesso onde acquisire nuovamente il pieno e libero godimento dell'immobile, e il giudice le dà ragione! È questa la vicenda decisa dal Tribunale di Verona, con l'ordinanza n. 7560/2015 depositata il 23 settembre scorso (qui sotto allegata), che ha accolto le doglianze della donna, ordinando al marito di consegnarle le nuove chiavi. Il punto è che, pur essendo pacifico che l'uomo è proprietario esclusivo dell'appartamento adibito a casa coniugale (cosa assolutamente non contestata dalla moglie), non essendovi stato alcun provvedimento di assegnazione in sede di separazione (data l'assenza del presupposto della convivenza con figli minori o economicamente non autosufficienti), la donna, per il giudice scaligero, continua a conservare una posizione soggettiva di “detenzione qualificata, fondata sugli obblighi matrimoniali di cui all'art. 143 c.c., in particolare sull'obbligo del reciproco rispetto, ancora in essere e perdurante, nonostante la proposizione di un ricorso per separazione personale e l'autorizzazione del Presidente a vivere separati” giacchè a seguito dell'adozione di tali provvedimenti provvisori ed urgenti “non cessano perciò solo gli obblighi matrimoniali stabiliti dal codice civile”. Per cui sbaglia il marito a costituirsi in giudizio a fronte del ricorso ex art. 703 c.p.c. da parte della donna, ad eccepire l'insussistenza dell'animus spoliandi e a chiedere in via riconvenzionale il rilascio dell'abitazione coniugale e in via subordinata ex art. 700 c.p.c. l'allontanamento della ricorrente dalla stessa, ritenendo che la donna non abbia alcun titolo per rimanere all'interno della sua abitazione. Tenuto conto dei perduranti obblighi tuttora incombenti sui coniugi, ha affermato invece il tribunale, la ricorrente ha una posizione giuridica che non può essere certo ascritta a mera detenzione sine titulo, trovando invece il “potere di fatto sulla cosa” esercitato dalla stessa con la permanenza nella casa coniugale, sin dall'inizio del matrimonio e dopo l'autorizzazione a vivere separati, “fondamento nel rapporto di coniugio non ancora definitivamente sciolto e in particolare nel diritto al rispetto della propria dignità di coniuge derivante dal matrimonio”. Per cui legittima è l'azione di reintegra esercitata dalla stessa e illegittimo invece il comportamento del marito, le cui affermazioni circa l'interpretazione della partenza della moglie come un rilascio definitivo appaiono affatto credibili. La donna infatti gli aveva non solo comunicato di tornare dopo qualche giorno ma aveva anche lasciato nell'immobile vestiti, gioielli, accessori e persino la biancheria e i propri effetti personali. Essendo, dunque, indiscutibile l'illecito spoglio del possesso, data la consapevolezza del marito di privare, con la sua condotta, l'ex moglie della detenzione dell'appartamento, il ricorso cautelare della stessa va accolto e l'uomo dovrà provvedere ad eliminare qualsiasi opera di interclusione dell'accesso e a riconsegnare copia di tutte le chiavi. Quanto al marito, le domande vanno rigettate in quanto fondate sul diritto di proprietà che giustifica una domanda petitoria preclusa (dall'art. 705 cpc) nel giudizio possessorio. Per cui lo stesso potrà fare valere i suoi legittimi diritti dominicali ma soltanto azionando gli appositi rimedi previsti dal codice civile. Nel frattempo, dovrà rassegnarsi a coabitare con la ex, pagando anche tre quarti delle spese legali.
|
|