Data: 28/10/2022 04:00:00 - Autore: Marina Crisafi

La iella ha rilevanza giuridica?

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Nessuno fugge dalla superstizione. C'è chi non passa mai sotto le scale, chi si ferma quando vede attraversare un gatto nero, chi pensa di essere vittima del malocchio di qualcuno. La maggior parte delle persone cede alla superstizione e anche chi afferma perentoriamente di non crederci, quando gli accade qualcosa, inizia a vacillare. Il dubbio però è un altro, la iella ha una qualche rilevanza giuridica? Ovvero, augurare disgrazie o dire a qualcuno che porta sfortuna ha delle conseguenze per il diritto?

Vediamo che cosa dice al riguardo la giurisprudenza.

Reato augurare una cattiva sorte?

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La risposta negativa a questa domanda arriva direttamente dalla Suprema Corte di Cassazione la quale afferma che, se la iella esiste non è passibile di condanna chi la porta.

Quando il malaugurio non è altro che un auspicio o una previsione non viene commesso alcun illecito. In questa vicenda, che la Cassazione ha chiuso con il provvedimento n. 35763/2006, la stessa ha annullato in parte la condanna inflitta dal giudice di pace a un ragazzo che, lasciato dalla sua ex e ferito nell'orgoglio, aveva inviato un sms iettatore del seguente tenore “ignorante, perderai tutto illusa, farai la stessa fine di tuo padre”. Frase con cui presagiva che il suo “baretto” sarebbe fallito. Per la S.C. è evidente che non può parlarsi di una minaccia. Il male prospettato in questo caso infatti non dipende dalla volontà dell'agente, esso è infatti soltanto un auspicio.

Con la sentenza n. 28039/2019 la Cassazione è tornata sulla differenza esistente tra le minacce vere e proprie e gli auspici di chi augura la iella in un caso che vede coinvolte due familiari.

L'imputata è stata infatti accusata di avere indirizzato alla nipote la seguente frase minatoria: ""stai attenta che in qualunque momento ti può succedere qualche cosa". Ora, per gli Ermellini questa frase ha "una portata obiettiva intimidatoria, anche alla luce dei rapporti di natura parentale intercorrenti tra l'odierna ricorrente e la parte lesa. L'espressione in questione integra il reato di minaccia, sotto un profilo sia soggettivo sia oggettivo. L'efficacia intimidatoria risulta, secondo le motivazioni contenute nella sentenza impugnata, avvalorata dalla deposizione testimoniale, resa dalla parte lesa, circa l'insorgenza nella stessa di ragioni di timore".

Non regge in questo caso la tesi del difensore dell'imputata, che tenta di far passare passare la frase come frutto dello screzio intercorso tra le due parenti e avente mera finalità suggestiva iettatoria.

La Cassazione però già con il provvedimento n. 54879 del 2017 si era trovata a dover risolvere una situazione simile alla prima esaminata. Un testimone aveva riferito di aver sentito l'imputato pronunciare questa frase: "L'azienda chiuderà e tu finirai a guardare pecore ti finirà male, vedrai". Una frase che per gli Ermellini non integra il reato di minaccia perché l'imputato ha utilizzato una formula del tutto impersonale che evoca un male futuro, il cui verificarsi però non dipende dalla sua volontà.

Augurare la morte a qualcuno è illecito penale?

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Con la sentenza n. 41190/2014 la Cassazione si era occupata di un tema delicato e in linea con quello della superstizione e che aveva visto come protagonisti due soggetti, condannati in sede di appello per ingiuria e minaccia.

Questa la frase incriminata rivolta alla persona offesa: "Ogni volta che vedo la tua macchina ripartire per Roma la domenica sera, il giorno dopo compro il giornale, sperando di leggere della tua morte in uno di quegli spaventosi incidenti sull'autostrada che commentano nei telegiornali... Spero di incontrarti uno di questi giorni disteso e morente lungo la strada... Ti prometto che non mi fermerò mai per aiutarti a soccorrerti". D.S., per parte sua, sempre indirizzandosi al T., avrebbe detto: "ogni anno qualcuno mi fa sapere che la tua salute peggiora molto e sempre di più, tanto che stai lì lì per crepare, però questa bella notizia non arriva mai".

Una frase con un contenuto del genere per la Cassazione, per quanto riguarda nello specifico i reati contestati agi imputati precisa che:

  • "Augurarsi la morte di un'altra persona è certamente manifestazione di astio, forse di odio, nei confronti della stessa persona, ma poiché il precetto evangelico di amare il prossimo come se stessi non ha sanzione penale, la sua violazione è, appunto, penalmente irrilevante. Meno che mai costituisce ingiuria, perché desiderare la morte altrui non sta necessariamente a significare che si intenda offenderne l'onore e il decoro (e che di fatto li si offenda).
  • Quanto al delitto di minaccia, è noto che il male ingiusto e futuro che si prospetta alla persona offesa deve essere rappresentato come conseguente ad un'azione dell'offensore.
    Nel caso di specie, il fatto che Z. si sia augurato la morte di T. in un incidente stradale e che D.S. l'abbia prevista quale imminente conseguenza dell'aggravarsi delle sue condizioni di salute, rappresentano certamente manifestazioni di scarso affetto nei confronti del T. stesso e, se si vuole, di evidente mancanza di fair play tra avversari processuali, ma né Z., né D.S., a stare al capo di imputazione, hanno manifestato l'intenzione di fare alcunché per determinare, anticipare o propiziare la morte del T.. In particolare, Z. non ha "promesso" al T. che si sarebbe attivato per provocare incidenti automobilistici, ma si è augurato che ciò accada casualmente ad opera di terzi (sconosciuti) ed ha chiarito che egli, se avesse visto steso per terra il T., non l'avrebbe soccorso, con ciò, al più, preannunciando che si sarebbe reso responsabile di un futuro ed eventuale reato (CdS art. 189, cp art. 593). D.S. ha formulato una "previsione" (e una speranza), certo con animo malevolo, ma di assoluta irrilevanza penale."

Dare dello iettatore è reato

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Anche questa volta la soluzione al tema la fornisce il Palazzaccio il quale ha confermato la condanna del conduttore di una trasmissione radiofonica per diffamazione perché nei confronti di una persona aveva affermato: “porta male, tanto che devo toccar ferro perché porta anche sfortuna”.

In dettaglio, la Cassazione ha sancito il principio secondo cui “commette il reato di diffamazione, quindi, chiunque adoperi termini che risultino offensivi, in base al significato che essi vengono oggettivamente ad assumere, a prescindere dal loro spessore culturale e dalla loro base scientifica, nella comune sensibilità di un essere umano collocata in un determinato contesto storico e in determinato ambito sociale”.

Per gli Ermellini “la dannosità di false credenze popolari è empiricamente rilevabile - nella - storia dell'umanità”. È infatti “ampiamente e dolorosamente noto che il ‘sapere superstizioso', diretto a distinguere e a disprezzare categorie sociali, identificate per sesso, religione, colore della pelle, provenienza geopolitica, etnica, culturale, ha condotto a ingiustificate emarginazioni, a disumane persecuzioni” (cfr. Cass. n. 10393/2013).


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