Data: 05/01/2016 10:10:00 - Autore: Abg. Francesca Servadei

Abogado Francesca Servadei - Il giudice, laddove sussistano situazioni di pericolo per la collettività ovvero di pregiudizio per l'attività processuale, provvede mediante l'applicazione di misure cautelari; esse sono di due tipologie a seconda che vadano ad incidere su beni ovvero sulla persona stessa, pertanto si parla per le prime di misure cautelari reali e per le seconde di misure cautelari personali.

Le misure cautelari personali si distinguono in coercitive, che limitano ovvero comprimono la libertà personale del soggetto ed interdittive che invece incidono su diritti e capacità in testa al soggetto stesso.

Quando si parla di misure cautelari personali è d'obbligo soffermare l'attenzione sull'articolo 272 del codice di rito ("Limitazioni alla libertà della persona") alla luce del quale emerge il principio della tassitività, il quale comporta che non possono essere disposte misure cautelari diverse da quella contemplate nel Titolo I, Libro IV del Codice di Procedura Penale.

Affinché vengano applicati tali provvedimenti è necessaria la presenza di:

a) gravi indizi di colpevolezza ;

b) limite edittale della pena;

c) almeno una delle esigenze cautelari.

Dalla lettura dell'articolo 273 del citato codice ("Condizioni generali di applicabilità delle misure"), il legislatore menziona due importanti elementi, quali la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza ed il presupposto che alcuna misura può essere applicata nel caso si verifichi una causa estintiva del reato, una causa di giustificazione, una causa di non punibilità ovvero una causa di estinzione della pena che si ritenga possa essere irrogata.

Per quanto concerne gli indizi di colpevolezza, essi implicano che da un giudizio prognostico, sulla base di elementi di prova, venga pronunciata sentenza di condanna; secondo l'orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. 770/2008), l'indizio deve essere rivelatore di una presumibilità del comportamento colpevole potendo quindi essere costituito anche dagli atti di indagine, nel caso n cui la misura cautelare venga adottata nel corso delle indagini preliminari.

Altra condizione affinché venga applicata una misura cautelare è rappresentata dall'esistenza di almeno una delle esigenze cautelari; secondo quanto stabilisce l'articolo 274 del codice di rito, tali misure consistono in: 1) esigenze di indagini; 2) fuga o pericolo di fuga; 3) esigenze di tutela della collettività.

Le esigenze di indagini comportano che sussista il pericolo di inquinamento delle fonti di prova (si parla di fonti di prova in quanto ci si trova ancora nella fase delle indagini preliminari dove la prova non è formata; essa si forma in sede dibattimentale) ovvero una situazione nella quale sussiste il pericolo che l'imputato (quindi già in fase dibattimentale) ponga in essere atti volti ad inquinare le prove, per esempio sottraendole ovvero distruggendole; l'esigenza cautelare deve essere specificatamente indicata nel provvedimento, a pena di nullità.

Il pericolo di fuga è fondato ove vi sia un giudizio prognostico ad applicare una pena non inferiore a 2 anni di reclusione; tale pericolo è desunto non solo dalla eventuale futura pena da applicare, ma anche dalla presenza di concrete, specifiche ed attuali esigenze.

Le esigenze di tutela della collettività sono dedotte non esclusivamente dalla gravità del fatto commesso, ma anche dalla probabilità che il fatto sia nuovamente commesso, quindi dalla reteirazione del reato nonché da eventuali precedenti penali.

Per quanto concerne i limiti di pena edittale è importante soffermare l'attenzione sull'articolo 278 del codice di procedura penale, alla luce del quale il giudice provvede tenendo conto della pena stabilita per il reato tentato e quello consumato, non avendo riguardo alla continuazione, alla recidiva, alle circostanze del reato, salvo quelle espressamente previste nell'articolo 61 del Codice penale, al numero 5) (quindi l'aver profittato delle circostanze di tempo, di luogo o da persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa) nonché al numero 4) dell'articolo 62 (perciò l'aver, nei delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l'aver agito per conseguite o l'aver comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l'evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità).

Il legislatore inoltre ha previsto che per l'applicazione della misura cautelare il giudice non deve tener conto delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale.

È importante sottolineare che il giudice applica la misura cautelare sulla base del principio di adeguatezza e proporzionalità.

Il principio di adeguatezza, alla luce di quanto è stabilito nel I comma dell'articolo 275 del codice di rito, implica che nella scelta della misura l'organo giudicante deve tener conto della idoneità, quindi adeguatezza, della stessa in relazione al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto.

Tale principio comporta una deroga nel caso dell'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere laddove si proceda per i reati indicati nell'articolo 275, 3° comma, secondo periodo, del citato codice, ove si ha una presunzione relativa, assoluta ed una doppia presunzione relativa (la prima si verifica nel caso in cui sussistono le esigenze cautelari, la seconda, si ha nel caso in cui i reati per i quali si procede sono quelli indicati dagli artt. 270 e 270-bis del codice penale; mentre la doppia presunzione relativa sussiste per i reati previsti ai sensi dell'articolo 51, comma 3 bis e quater, nonché per i reati di violenza sessuale, violenza sessuale di gruppo e atti sessuali con minorenne. Per tali fattispecie si applica la custodia cautelare in carcere salvo l'assenza di esigenze cautelari o l'applicazione di misure alternative).

Il principio di proporzionalità implica che la misura deve essere proporzionale all'entità del fatto ad alla sanzione irrogata, alla luce di quanto previsto nel 2° comma dell'articolo 275 del Codice Vassalli.

Con la Legge n. 128/2001 (c.d. Pacchetto sicurezza) il legislatore ha concesso la facoltà al giudice di applicare, sino a che la sentenza di primo grado non sia passata in giudicato, una misura cautelare laddove sussista il pericolo di fuga ovvero la reiterazione del reato, sussumendo tale applicabilità anche alla luce di quanto emerso nel corso del procedimento, in virtù di quanto disposto dell'articolo 275, comma 1 bis; inoltre contestualmente alla sentenza di condanna in sede di appello l'organo giudicante è obbligato ad applicare taluna misura cautelare laddove ricorrono i seguenti presupposti: a) una delle esigenze cautelari indicate nell'articolo 274 del Codice Vassalli; b) la sentenza si è pronunciata per uno dei reati per i quali è previsto l'arresto obbligatorio; c) il reo, nei precedenti cinque anni, non abbia consumato un reato della medesima indole.

Quando di parla di misure cautelari personali è importante distinguerle in quelle custodiali e non custodiali.

Le prime (arresti domiciliari, custodia cautelare in carcere e custodia cautelare in luogo di cura) sono caratterizzate dal fatto che vengono scomputate alla pena prevista dalla sentenza finale di condanna, in quanto prevedono una soppressione ovvero limitazione della libertà e locomotività fisica della persona.

Le misure cautelari non custodiali (divieto di espatrio, obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria, allontanamento dalla casa familiare, divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, divieto o obbligo di dimora) non prevedendo la limitazione della libertà fisica e locomotiva della persona non comportano uno scomputo della pena prevista dalla sentenza penale di condanna.

Oltre alle misure cautelari personali summenzionate vi sono anche quelle interdittive, che non incidono sulla libertà fisica delle persona, bensì incidono, in modo temporaneo, sull'esercizio di determinate facoltà. Trattasi, come si è accennato, di misure temporanee in quanto la loro durata massima è di dodici mesi (a seguito della novella apportata dalla l. n. 47/2015) e vengono applicate per quei reati la cui pena edittale nel massimo non supera i tre anni. 

Tali misure sono: sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale, divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriali o professionale e la sospensione dall'esercizio di un pubblico servizio o ufficio.

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