Data: 11/11/2015 13:30:00 - Autore: Marina Crisafi

di Marina Crisafi - Continua lo smantellamento della legge 40 del 2004 da parte della Corte Costituzionale. Con la sentenza di oggi (n. 229/2015 qui sotto allegata), il giudice delle leggi ha detto basta al divieto assoluto della selezione degli embrioni, anche nei casi in cui questa sia finalizzata esclusivamente ad evitare l'impianto nell'utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili.

Chiamata in causa dal tribunale ordinario di Napoli, la corte ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 13, commi 3, lett. b) e 4 della legge sulla procreazione medicalmente assistita, che prevedono, rispettivamente, il divieto di “ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti”, nonché di ogni intervento che, attraverso tecniche di selezione, manipolazione o comunque artificiali, sia diretto ad alterare il patrimonio genetico ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione di quelli “aventi finalità diagnostiche e terapeutiche”, e la sanzione penale per la medesima condotta.

Per la Corte prevedere come reato la selezione degli embrioni, anche laddove questi siano affetti da malattie genetiche “gravi” e “trasmissibili”, è in contrasto con i principi costituzionali (artt. 3 e 32 Cost.) creando un vulnus al diritto alla salute, tutelato dalla stessa legge 40, nonché al diritto al rispetto della vita privata e familiare che comprende il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattie genetiche, previsto dalla Cedu.

Il niet al reato, del resto, è in linea con la recente sentenza n. 96/2015 con cui la stessa Corte aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dei precedenti articoli 1, commi 1, 2 e 4 comma 1 della legge 40 “nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili”. E ciò al fine esclusivo, ha ribadito la Corte “della previa individuazione, in funzione del successivo impianto nell'utero della donna, di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro, alla stregua del suddetto ‘criterio normativo di gravità'”.

Per cui, ciò che è diventato lecito per effetto della pronuncia indicata non può, per il principio di non contraddizione, essere attratto nella sfera del penalmente rilevante. E, dunque, ha concluso la Corte, la condotta selettiva del medico non può essere sanzionata penalmente.


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