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Data: 13/11/2015 11:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - L'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, e giudicati nel medesimo procedimento, in quanto anche il reato continuato configura un'ipotesi di "comportamento abituale" che impedisce il riconoscimento de beneficio. Lo ha disposto la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 45190/2015 (qui sotto allegata) negando il beneficio ex art. 131-bis c.p. a tre uomini imputati di vari reati, tra cui ipotesi di concorso in bancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale (relative a numerose società dichiarate fallite), truffa e falso. I predetti avevano patteggiato ed erano stati altresì condannati alle sanzioni accessorie di legge. La Suprema Corte, chiariscono i giudici, può rilevare d'ufficio d'ufficio ex art. 609, comma secondo, c.p.p. la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, fondandosi su quanto emerge dalle risultanze processuali e dalla motivazione della decisione impugnata e, in caso di valutazione positiva, annullerà la sentenza con rinvio al giudice di merito. Nel caso di specie, i numero delle ipotesi criminose addebitate agli imputati riflette un modus operandi consolidato, con caratteri di abitualità; ciò esclude che emergano dagli atti elementi utili alla possibile applicabilità dell'istituto di nuova introduzione. Accolta, invece, le censura riguardante le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici. Costante giurisprudenza della Corte, chiarisce che "in caso di condanna per reato continuato, la pena principale alla quale si deve fare riferimento per stabilire la durata della conseguente pena accessoria è quella inflitta per la violazione più grave, come determinata per effetto del giudizio di bilanciamento tra circostanze attuanti e aggravanti, e non già quella complessivamente indicata tenendo conto dell'aumento la continuazione". Essendo la pena base per tutti gli imputati indicata in 2 anni di reclusione, riconosciute le circostanze ex art. 62-bis c.p. in regime di prevalenza, le anzidette pene accessorie non avrebbero dovuto essere deposte. Da confermare invece la pena accessoria dell'inabilitazione all'esercizio di imprese commerciali, che la difesa riteneva non potesse avere durata superiore a quella della pena principale (ex art. 37 c.p.). A seguito della sentenza della Corte Costituzionale 134/2012, la giurisprudenza è ormai uniforme nello stabilire che "in tema di bancarotta fraudolenta, la pena accessoria dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e dell'incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, ha la durata fissa ed inderogabile in 10 anni". Si è voluto, in tal modo, che qualunque fosse la pena principale, il soggetto fosse posto in condizioni di non operare nel campo imprenditoriale dove ha creato danno e disordine.
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