Data: 16/11/2015 15:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Violenza sessuale di minore gravità nonostante l'imputato sia una figura di riferimento nel nucleo familiare della vittima.  
Infatti, ai fini della previsione ex art. 609-bis, per la diminuzione della pena bisogna effettuare una valutazione globale della vicenda in cui assumono rilievo anche il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di queste e le modalità esecutive del reato.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. III penale, nella sentenza n. 45268/2015 (qui sotto allegata) accogliendo parzialmente il ricorso presentato da un uomo, condannato del delitto di cui agli artt. 81 cpv., 609-bis, commi 1 e 2 , n. 1 c.p e pertanto condannato alla pena di sei anni di reclusione.
Il ricorrente era stato ritenuto colpevole per aver indotto la cognata, affetta da epilessia parziale e con insufficienza mentale grave con deficit cognitivo, a subire atti sessuali.

La ricostruzione della vicenda, validamente effettuata dai giudici di merito sul piano probatorio, è insindacabile in sede di legittimità, eccetto che per la censura riguardante la non concessa diminuente per la minore gravità, pur in presenza di tutti i presupposti che la giurisprudenza richiede per la sua applicazione.
Gli Ermellini, rammentano che l'art. 609-bis, ultimo comma, c.p., prevede che "nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi". 
La ratio che sostiene la norma trae origine dall'unificazione dei concetti di violenza carnale e di atti di libidine violenti nella comune figura di "atti sessuali", effettuata dalla l. 15 febbraio 1996, n. 66.
Infatti, considerata l'alquanto severa pena minima pari a 5 anni di reclusione prevista in origine, si era reso necessario un meccanismo per sanzionare adeguatamente quei fatti che, pur ricondotti alla nuova ed unica fattispecie di reato, risultassero offensivi della libertà sessuale in modo non particolarmente grave.

La giurisprudenza di Cassazione, ricordano i giudici del "Palazzaccio", ha ritenuto che ai fini della configurabilità della diminuente, andasse effettuata una valutazione globale della vicenda in cui "assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all'età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa, anche in termini psichici, sia stato significativamente contenuto".

Nel caso di specie, la Corte d'Appello ha sbagliato a negare la diminuente in virtù del "danno non patrimoniale cagionato alla vittima da un soggetto che era anche una figura di riferimento nel nucleo familiare, per lungo tempo, e che, in conseguenza di siffatta condotta, ha anche cagionato conseguenze gravemente destabilizzanti nei suoi rapporti familiari”.

Per i giudici, i rapporti intersoggettivi tra familiari riguardano un profilo del tutto esterno alla valutazione che deve presiedere l'esame della diminuente secondo i parametri richiamati; per tali motivi la sentenza deve essere annullata con rinvio affinché il giudice di seconde cure valuti la configurabilità dell'ipotesi di cui all'art. 609-bis, ultimo comma, c.p. 

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