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Data: 19/11/2015 19:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - La legge 183 del 2010 (cd. collegato lavoro) consente al datore di lavoro di licenziare il dipendente al fine di riorganizzare l'azienda e sostituire un personale meno qualificato con dipendenti maggiormente dotati di conoscenze e di esperienze e quindi attitudini produttive. L'esercizio di tale potere non è sindacabile nel merito dal giudice dopo che il legislatore ha introdotto l'art. 30 della legge summenzionata tesa a tutelare più intensamente la libertà organizzativa dell'impresa. La tutela reintegratoria, inoltre, può applicarsi solo se il lavoratore dimostra il "torto assoluto" del datore di lavoro, ad esempio il difficile reperimento di altra occupazione o la cattiva situazione patrimoniale e reddituale sua o della famiglia, per applicare la misura contenuta nell'art. 18, comma settimo, legge 300/1970 come modificato dalla legge Fornero. E' quanto emerge dalla sentenza n. 23620/2015 (qui sotto allegata) della Corte di Cassazione, sezione lavoro, che ha deciso sul ricorso proposto da una s.r.l. operante nel settore della sanità privata e convenzionata col Servizio sanitario nazionale. La predetta società, provvedeva al licenziamento di una propria dipendente assunta quale tecnico di laboratorio, al fine di assegnare le sue mansioni ad altro personale con qualifica di biologo: la s.r.l. evidenziava che il giustificato motivo oggettivo alla base del provvedimento era da riscontrarsi nella necessità, imposta dalla Regione, di assumere per il laboratorio di analisi un direttore laureato in biologia o in chimica, da ciò la sopravvenuta inutilità delle mansioni affidate alla lavoratrice. Nonostante il contrario avviso dei giudici di merito, che accoglievano la richiesta di illegittimità del licenziamento come richiesto dalla donna, i giudici di Piazza Cavour evidenziano la fondatezza delle censure prospettate dalla ricorrente. Si premette che il potere imprenditoriale di intimare al lavoratore il licenziamento (per ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa) richiede motivi addotti dal datore di lavoro oggettivamente verificabili, gravando l'onere della prova a carico dell'imprenditore stesso. Se manca tale prova, l'esercizio del potere organizzativo è illegittimo per sviamento, tuttavia va ricordato che ai sensi dell'art. 30, comma 1, legge 183/2010, il giudice non può sindacare nel merito le decisioni imprenditoriali. Per gli Ermellini, il contratto può essere sciolto non solo per necessita di contrarre la produzione e di conseguenza ridurre il numero dei lavoratori, ma anche per realizzare economie, ossia affrontare "un'onerosità non prevista, alla stregua delle conoscenze ed esperienze di settore, nel momento della sua conclusione": tale sopravvenienza "può consistere anche in una valutazione dell'imprenditore che, visto l'andamento economico dell'impresa, ravvisi la possibilità di sostituire un personale meno qualificato con dipendenti con maggiori conoscenze, esperienze e attitudini produttive". Al controllo del giudice sfugge anche il fine, di arricchimento o di non impoverimento, perseguito dall'imprenditore, "considerato che un aumento del profitto si traduce non, o non solo, in un vantaggio per il sui patrimonio individuale, ma principalmente in un incremento degli utili dell'impresa ossia in un beneficio per la comunità dei lavoratori". Nel caso di specie i giudici hanno mancato di verificare, ritenendo tale incombenza superflua, la concreta attribuzione all'altra dipendente, biologa, delle mansioni affidate precedentemente alla licenziata, o comunque la redistribuzione delle mansioni tra personale già presente o neo-assunto. Inoltre, al controllo giudiziale della reale operazione di riorganizzazione del personale e redistribuzione delle mansioni non può essere estranea anche la verifica delle difficoltà economiche in reparti diversi da quello in cui operò la lavoratrice licenziata, verifica di cui dovrà occuparsi il giudice di rinvio.
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