Data: 19/11/2015 20:30:00 - Autore: Marina Crisafi

di Marina Crisafi - All'avvocato, così come a chi aspira a diventare tale, è richiesta una condotta irreprensibile e conforme ai principi della deontologia forense, anche prima dell'iscrizione all'albo. Per cui qualsiasi illecito commesso in precedenza può diventare oggetto di sanzione disciplinare, se i suoi riflessi negativi si ripercuotono anche successivamente.

Lo hanno affermato le sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n. 23540/2015, depositata il 18 novembre scorso (qui sotto allegata), convalidando la sanzione della radiazione inflitta a un praticante dal Consiglio dell'ordine distrettuale (e confermata dal Cnf) per aver trattenuto la somma di 75mila euro consegnata da un cliente per la partecipazione ad un incanto, senza fornire alcun rendiconto né restituire l'importo anche a seguito della condanna in sede civile.

A nulla vale la doglianza dell'ormai ex praticante che lamentava che il fatto contestato si era verificato prima della sua iscrizione nell'apposito registro, con conseguente inesistenza del potere disciplinare e inapplicabilità della sanzione.

Per gli Ermellini, infatti, è "assolutamente irrilevante la data in cui venne conferito il mandato per l'acquisto di un immobile all'incanto, su cui fa leva il ricorrente per sottrarre la propria condotta al sindacato del Consiglio dell'Ordine professionale; atteso che il fatto addebitato è molto più articolato e riguarda la violazione del codice deontologico forense in più punti (dovere di fedeltà, di probità, dignità e decoro).


Inutile e non pertinente anche il richiamo del ricorrente al principio espresso in precedenza dalle stesse sezioni unite (Cass. n. 25369/2014), che aveva escluso la rilevanza disciplinare delle condotte antecedenti l'iscrizione all'albo, a prescindere dalla loro rilevanza penale e dalla capacità di determinare strepitus fori nel periodo d'iscrizione. Si tratta infatti, a detta del Palazzaccio, di una deduzione "generica ed eccentrica" basata su presupposti diversi rispetto alla condotta in contestazione, la quale non solo "si è protratta nel tempo ben oltre l'iscrizione" ma ha altresì "inevitabili riflessi negativi" a causa del mancato adempimento all'ordine di restituzione delle somme, non potendo dunque non integrare un illecito disciplinare.

La decisione, del resto, ha proseguito il Supremo Collegio, è coerente "con il principio secondo cui l'appropriazione indebita si consuma nel momento e nel luogo in cui l'agente tiene consapevolmente un comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso, dando contezza in termini congrui - e, comunque, immuni da specifiche censure - delle ragioni per cui sussistevano le esigenze di tutela del prestigio dell'Ordine forense in presenza di comportamenti posti in essere successivamente all'iscrizione, contrari ai doveri di probità, di buona condotta e di deontologia professionale che gli iscritti sono tenuti a rispettare nell'esercizio della professione".
Nessun dubbio, dunque, sul rigetto del ricorso.


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