Data: 23/11/2015 17:00:00 - Autore: Marina Crisafi

di Marina Crisafi � Una volta finita la convivenza, se le condotte persecutorie poste in essere nei confronti dell'ex partner proseguono non pu� pi� parlarsi di maltrattamenti in famiglia ma di stalking. Lo ha affermato la quarta sezione penale della Corte d'Appello di Palermo, nella recente sentenza n. 1711/2015 (qui sotto allegata) accogliendo il ricorso dell'imputato e ricalcolando la pena, al ribasso, essendo lo stalking un delitto meno grave rispetto a quello dei maltrattamenti.

Nella vicenda, l'uomo si era macchiato pi� volte di maltrattamenti, sia durante che dopo la convivenza, nei confronti dell'ex compagna, dalla quale aveva anche avuto dei figli, le cui testimonianze erano state determinanti per la condanna in primo grado. Dall'istruttoria era infatti emerso che nel corso della vita in comune l'uomo aveva pi� volte offeso e picchiato la donna e in seguito all'allontanamento dall'abitazione familiare, l'aveva presa di mira, appostandosi sotto casa, minacciandola per telefono, danneggiando i suoi beni e costringendola a farsi accompagnare dal figlio quando andava al lavoro.

A detta della corte d'appello, sbaglia il tribunale a ritenere assorbita l'imputazione del reato di cui all'art. 612-bis c.p. in quello pi� grave di maltrattamenti in famiglia, sull'assunto (basato su consolidato orientamento giurisprudenziale) che la cessazione del rapporto di convivenza "non possa considerarsi idonea a tracciare un discrimen tra l'area di operativit� della fattispecie astratta di cui all'art. 572 c.p. e quella dell'ipotesi criminosa di cui all'art. 612-bis c.p.", ritenendo che la fine della relazione non influisca sulla sussistenza del reato di maltrattamenti.

In conformit� alla giurisprudenza della Cassazione (cfr. Cass. n. 19545/2013), ha affermato infatti il giudice d'appello "deve ritenersi configurabile l'ipotesi aggravata del delitto di atti persecutori, in presenza di comportamenti che, sorti in seno alla comunit� familiare (o a questa assimilata) ovvero determinati dalla sua esistenza, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare o affettivo o, comunque, dalla sua attualit� temporale" sicch� la diversit� delle condotte, poste in essere in un diverso contesto temporale, successivo alla cessazione della convivenza, costituiscono "ulteriori profili di esplicazione di un medesimo atteggiarsi della volont� dell'imputato, che ha proseguito nel comportamento vessatorio nei confronti della convivente, pur dopo la cessazione della convivenza", che configurano non gi� il delitto di maltrattamenti bens� quello di atti persecutori "sia pure nella forma aggravata di cui al secondo comma, da ritenersi commesso in esecuzione di un medesimo disegno criminoso rispetto agli altri delitti oggetto di contestazione".

Nella convivenza more uxorio, infatti, a differenza del matrimonio, in cui tra i coniugi, separati di fatto, "continuano a persistere i doveri di assistenza e di rispetto tipici della convivenza familiare", ha concluso la corte, la cessazione della convivenza stessa "determina la fine del nucleo familiare costituito dalla coppia".


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