Data: 18/07/2019 16:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli

di Valeria Zeppilli – Il nostro ordinamento vieta di licenziare verbalmente: il recesso del datore di lavoro dal rapporto che lo lega al proprio dipendente deve essere sempre comunicato in forma scritta, quali che siano le ragioni alla sua base.

Inefficacia del licenziamento orale

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Di conseguenza, il licenziamento orale è sempre inefficace e l'inefficacia si ha anche quando alla base del recesso comunicato verbalmente vi sia una giusta causa o un giustificato motivo oggettivo o soggettivo che, altrimenti, lo avrebbero giustificato.

Licenziamento orale e articolo 18

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La norma che detta le tutele accordate ai dipendenti che subiscono un licenziamento orale è differente a seconda che il lavoratore licenziato era stato assunto prima del 7 marzo 2015 o a partire da tale data.
Sostanzialmente, tuttavia, il contenuto della tutela è identico.
Nel dettaglio, ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 si applica l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, in particolare la tutela reintegratoria rafforzata, che prevede la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro e la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore con il pagamento di un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegra, dedotto quanto eventualmente il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative.
La misura del risarcimento, in ogni caso, non può essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto e ad essa si aggiunge anche il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Licenziamento orale e contratto a tutele crescenti

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Ai lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015 che sono stati successivamente licenziati oralmente si applica, invece, il cd. contratto a tutele crescenti. La norma di riferimento per le tutele è quindi quella di cui all'articolo 2 del decreto legislativo numero 23/2015.

Tale disposizione, in particolare, stabilisce che il lavoratore il cui licenziamento sia stato intimato in forma orale venga innanzitutto reintegrato nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto.

Con la medesima pronuncia il giudice condanna altresì il datore di lavoro a risarcire il lavoratore del danno subito per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia. A tal fine, egli stabilisce un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegra, dedotto l'aliunde perceptum e senza mai scendere al di sotto delle cinque mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

Per il medesimo periodo il datore di lavoro è anche tenuto a versare i contributi previdenziali e assistenziali.

Come si vede, si tratta di una delle poche ipotesi in cui le conseguenze dell'illegittimità del licenziamento sono le medesime stabilite dall'articolo 18.

In ogni caso, il lavoratore che sia stato licenziato oralmente ha diritto di ottenere, in alternativa alla reintegra, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

La giurisprudenza sul licenziamento orale

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Nel corso degli anni, la Corte di cassazione è intervenuta a più riprese a chiarire alcuni aspetti controversi relativi al licenziamento orale.

Possiamo segnalare, innanzitutto, la sentenza numero 22825 del 9 novembre 2015, con la quale i giudici hanno sancito che al licenziamento orale non si applica il termine di decadenza di sessanta giorni per l'impugnativa previsto dall'articolo 6 della legge n. 604 del 1966.

Di conseguenza, indipendentemente dall'effettuazione di una tempestiva impugnativa stragiudiziale, il lavoratore può far valere in ogni tempo l'inefficacia del licenziamento.

Con la più recente pronuncia numero 18402/2019, invece, i giudici hanno affermato che "il lavoratore subordinato che impugni un licenziamento allegando che è stato intimato senza l'osservanza della forma prescritta ha l'onere di provare, quale fatto costitutivo della sua domanda, che la risoluzione del rapporto di lavoro è ascrivibile alla volontà del datore di lavoro, anche se manifestata con comportamenti concludenti", con la conseguenza che non può ritenersi a tal fine sufficiente la sola cessazione dell'esecuzione della prestazione lavorativa.

In proposito deve considerarsi, tuttavia, anche quanto sancito dalla sentenza numero 8927/2015, ovverosia che "il materiale probatorio deve essere raccolto, da parte del giudice del merito, tenendo conto che nel quadro della normativa limitativa dei licenziamenti, la prova gravante sul lavoratore è limitata alla sua estromissione dal rapporto, mentre la controdeduzione del datore di lavoro assume la valenza di un'eccezione in senso stretto, il cui onere probatorio ricade sull'eccipiente ai sensi dell'art. 2697, comma secondo, c.c.".


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