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Data: 19/12/2015 17:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Il mero rifiuto di sottoporsi all'esame del DNA non integra il dolo processuale, perché tale comportamento non è idoneo a sviare la difesa avversaria e a impedire al giudice l'accertamento della verità. Lo ha disposto la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, con ordinanza n. 25317/2015 (qui sotto allegata) dichiarando inammissibile il ricorso avanzato da un uomo che la Corte territoriale aveva dichiarato padre naturale di un figlio nato fuori dal matrimonio. Dopo che la competente Corte d'Appello aveva rigettato l'opposizione dell'uomo a tale decisione, era seguita una sua azione di revocazione, ex art. 395 comma 1, n. 1, c.p.c. con cui il ricorrente evidenziava il dolo processuale del "figlio" dimostrato dal rifiuto di sottoposizione all'esame del DNA. A seguito del rigetto dell'azione, impugnata la decisione in Cassazione, il "padre" vede un successivo diniego anche in tale sede. Gli Ermellini, infatti, ritengono fondato quanto stabilito dai giudici d'appello secondo cui "ai fini della sussistenza del dolo processuale revocatorio è necessario accertare l'attività fraudolenta di una delle parti e che la sentenza sia conseguenza di tale attività". Il rifiuto di sottoporsi ad esami non poteva in alcun modo essere considerato alla stregua di attività fraudolenta, mancando quell'alterazione della realtà che la contraddistingue e, per definizione, non poteva avere avuto alcuna efficacia causale rispetto alla decisione adottata in quanto evento successivo alla sentenza di primo grado. Il ricorso in esame si focalizza sulla riconducibilità generica del mendacio e del silenzio al dolo processuale revocatorio, ma non spiega in che modo la condotta di controparte avrebbe sviato la difesa e alterato la realtà dei fatti. Il ricorso va pertanto rigettato.
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