Data: 25/12/2015 19:20:00 - Autore: Valeria Zeppilli
di Valeria Zeppilli – Attraverso l'ordinanza numero 25112/2015, depositata il 14 dicembre (qui sotto allegata), la Corte di Cassazione ha reso un'interessante pronuncia in materia di depurazione delle acque. I giudici, infatti, hanno ricordato che, secondo la lettura della disciplina inerente la debenza dei relativi canoni resa dalla Corte Costituzionale, il pagamento non è dovuto se il Comune è sfornito di un impianto di depurazione delle acque centralizzato.
La Consulta, più precisamente, con la pronuncia numero 335/2008 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 14 della legge numero 36 del 1994, nella parte in cui prevedeva che la quota di tariffa relativa al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti anche nei predetti casi o nei casi in cui gli impianti centralizzati, pur se sussistenti, siano inattivi.
Per la Cassazione è quindi chiaro che la tariffa del servizio idrico integrato è il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa.
Del resto, a seguito del suo pagamento, l'utente beneficia sia della somministrazione della risorsa idrica, sia della fornitura dei servizi di fognatura e di depurazione.
Di conseguenza, sarebbe irragionevole obbligare l'utente a pagare la quota relativa al servizio di depurazione se la controprestazione manca.
Nel caso sottoposto all'attenzione dei giudici, l'oggetto del contendere riguardava appunto degli oneri relativi al servizio di depurazione delle acque reflue domestiche in un periodo durante il quale il relativo impianto non era funzionante.
Per la Cassazione, alla luce di quanto visto, corretta è stata quindi la decisione con la quale il Tribunale ha escluso, per tale periodo, il diritto della società erogatrice del servizio alla riscossione.
Confermata quindi la vittoria del cittadino: la somma versata per la depurazione "mancata" delle acque gli va rimborsata.
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