Data: 03/03/2016 15:00:00 - Autore: Fulvio Graziotto

di Fulvio Graziotto - Con una recente sentenza il Consiglio di Stato (n. 4225/2015) si è pronunciato sulla responsabilità del proprietario incolpevole di un sito contaminato, relativamente agli interventi urgenti necessari a prevenire i danni. 

Ecco i principi applicativi affermati dal Consiglio di Stato:

«In particolare, può dirsi in estrema sintesi, che dalle disposizioni contenute nel ‘Codice' del 2006 (in particolare, nel Titolo V della Parte IV) possono ricavarsi i seguenti principi applicativi: 

  • 1) il proprietario, ai sensi dell'articolo 245, comma 2, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione di cui all'articolo 240, comma 1, lettera 1), ovvero "le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia";
  • 2) gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l'inquinamento (articolo 244, comma 2);
  • 3) se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi che risultassero necessari sono adottati dalla P.A. competente (articolo 244, comma 4);
  • 4) le spese sostenute per effettuare tali interventi potranno essere recuperate, sulla base di un motivato provvedimento (il quale giustifichi, tra l'altro, l'impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabile ovvero quella di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità), agendo piuttosto in rivalsa verso il proprietario, che risponderà nei limiti del valore di mercato del sito a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi (articolo 253, comma 4);
  • 5) a garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato di un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare (art. 253, comma 2).»

Ricordo che il Codice dell'ambiente non impone l'obbligo di bonifica al proprietario incolpevole, che è una sua mera facoltà, ma pone a suo carico gli oneri della bonifica effettuata dalla pubblica amministrazione qualora sia impossibile identificare il responsabile dell'inquinamento o siano impossibili azioni di rivalsa nei suoi confronti. 

Nel caso esaminato dal Consiglio di Stato, il Ministero sosteneva che il proprietario deve rispondere del danno da inquinamento che il terreno continua a procurare, e quindi aveva diffidato il proprietario ad adottare misure di sicurezza d'emergenza al fine di impedire che la contaminazione si diffondesse ulteriormente.

La tesi del Ministero non è stata accolta, in quanto il proprietario è tenuto solo a porre in essere le misure di prevenzione intese quali "iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno... in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia".

Il Ministero appellante suggeriva una ricostruzione di sistema secondo cui:

  • il proprietario di un bene immobile debba rispondere anche del danno da inquinamento che il terreno continua a cagionare pur dopo l'acquisto in ragione degli effetti lesivi permanenti derivanti dall'inquinamento;
  • il principio chi inquina, paga debba essere inteso nel senso che la locuzione chi non vada riferita solo a colui che, attraverso una condotta attiva, abbia abusato del territorio immettendo o facendo immettere materiali inquinanti, ma anche a colui che, con la propria condotta omissiva o negligente, nulla faccia per ridurre o eliminare l'inquinamento causato dal terreno di cui è titolare.

Da ultimo, il Ministero appellante osservava che, secondo l'id quod plerumque accidit, può certamente ritenersi esigibile in capo all'acquirente di un fondo potenzialmente inquinato una diligenza particolarmente qualificata nell'appurare preventivamente un possibile, pregresso inquinamento (con ogni accollo di responsabilità in caso di violazione di un siffatto obbligo di diligenza). In caso contrario, la complessiva disciplina di settore si presterebbe a comportamenti formalisticamente elusivi della normativa posta a tutela dell'ambiente.

Sono stati annullati gli atti con cui la società proprietaria era stata diffidata ad effettuare operazioni di messa in sicurezza di emergenza, di bonifica dell'area e di rimozione degli scarti e materiali di risulta (nell'ambito della sentenza in questione era stata dichiarata la responsabilità della società appellante per il riversaggio abusivo sull'area di tali materiali).

Al principio "chi inquina paga", il quale ispira la disciplina nazionale in tema di distribuzione degli oneri conseguenti ad ipotesi di contaminazione di aree (si tratta della Parte IV - Titolo V del decreto legislativo 152 del 2006 – articoli 240 e seguenti -), anche in ragione della derivazione eurounitaria del principio medesimo (articoli 191 e 192 del TFUE), deve essere riconosciuta valenza inderogabile di normativa di ordine pubblico, in quanto tale insuscettibile di deroghe di carattere pattizio.

Laddove si ammettesse la possibilità di derogare in via convenzionale al basico criterio di distribuzione del "chi inquina paga", si consentirebbero agevoli elusioni degli obblighi di prevenzione e riparazione imposti dalla pertinente normativa di settore.

L'ordito normativo di cui alla Parte IV – Titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006 comporta certamente che le misure di prevenzione e di riparazione ivi disciplinate trovino applicazione anche nei confronti dei responsabili di eventi di inquinamento verificatisi anteriormente all'entrata in vigore della medesima Parte IV (secondo un criterio di individuazione e una scelta di politica legislativa che non presentano profili di incongruità o irragionevolezza, anche alla luce del preminente valore costituzionale dei beni oggetto di tutela). Depone univocamente in tal senso la disciplina in tema di contaminazioni cc.dd. ‘storiche' di cui ai commi 1 e 11 dell'articolo 242 del ‘Codice'.

Ciò conferma che, in base alle scelte normative intervenute fra il 1997 e il 2006, ben potesse essere individuato come ‘responsabile dell'inquinamento' un operatore (o i suoi aventi causa) il quale avesse realizzato le condotte foriere di inquinamento in un'epoca anteriore a quella di entrata in vigore della nuova disciplina in tema di distribuzione della responsabilità per danno ambientale, la quale può pertanto trovare piena e puntuale applicazione nell'ambito della presente vicenda.

La questione della possibilità di imporre al proprietario incolpevole dell'inquinamento di un'area specifiche misure di rimozione, prevenzione e messa in sicurezza di emergenza, il Collegio ritiene di richiamare (non rinvenendosi ragioni per discostarsene) le conclusioni già tracciate dall'Adunanza plenaria 25 settembre 2013, n. 12 (nonché, più di recente, dalla sentenza di questa Sezione 15 luglio 2015, n. 3544).

La questione centrale da dirimere (condivisibilmente risolta dai primi Giudici) attiene al se il proprietario di un'area inquinata, non responsabile dell'inquinamento, sia tenuto ai richiamati oneri, per come imposti dalla amministrazione pubblica, ovvero abbia una mera facoltà di eseguirli pena, altrimenti, l'esecuzione d'ufficio degli stessi da parte della amministrazione procedente e con responsabilità, in tal caso, solo patrimoniale del proprietario (nei limiti del valore venale del bene all'esito degli interventi di riqualificazione ambientale, conformemente all'articolo 253 del ‘Codice dell'ambiente'). 


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