Data: 12/01/2016 16:00:00 - Autore: Marina Crisafi

di Marina Crisafi - L'indissolubilità del matrimonio riguarda esclusivamente la Chiesa, per cui, non può precludersi sul piano civile, il diritto riconosciuto a moglie e marito dall'ordinamento italiano di divorziare. È quanto in sostanza ha affermato la sesta sezione civile della Cassazione, con l'ordinanza n. 212/2016, depositata ieri, rigettando il ricorso di una ex moglie che non voleva rassegnarsi al divorzio dal marito.

Un "ripensamento" non ben accolto già in sede di merito, dove i giudici considerano "manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale" della donna, atteso che la decisione del giudice italiano non concerne il vincolo matrimoniale bensì i meri effetti civili che le parti hanno concordemente chiesto fossero dallo Stato italiano riconosciuti al matrimonio religioso.

La donna non si rassegna e si rivolge alla Cassazione, sostenendo in sostanza l'abuso dello Stato italiano che tramite la norma in questione, imporrebbe la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso facendone venir meno l'essenziale carattere dell'indissolubilità.

Ma gli Ermellini respingono con fermezza le obiezioni dell'ex moglie. L'indissolubilità è un requisito del matrimonio religioso, previsto soltanto "nell'ordine morale cattolico e nell'ambito dell'ordinamento canonico" affermano infatti, ma non recepito nell'ordinamento italiano. Per cui quel vincolo "non può avere alcuna incidenza sugli effetti civili del matrimonio concordatario, né può precludere il diritto strettamente personale ed irrinunciabile, riconosciuto ai coniugi dall'ordinamento italiano di far cessare gli stessi effetti civili". Né, inoltre, vengono offerti dalla donna elementi idonei a mutare tale orientamento (cfr. Corte Cost. n. 169/1971; Cass. n. 11860/1993; n. 7990/1996).

A trovare conferma a piazza Cavour sono anche le statuizioni dei giudici di merito sugli obblighi economici dell'ex marito, che vedono la riduzione dell'assegno da versare alla moglie e la cessazione dell'obbligo di mantenimento della figlia.

Per cui, nulla di fatto per la donna: ricorso rigettato e divorzio confermato, con condanna anche a pagare le spese di lite.


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