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Data: 28/01/2016 17:00:00 - Autore: Sestilio Staffieri di Sestilio Staffieri - Alcuni dipendenti comunali, inquadrati come operatori dei servizi socio educativi, esponevano di avere svolto regolarmente tutte le attività di pulizia dei locali dell'asilo nido comunale presso il quale prestavano servizio, diverse ed ulteriori rispetto alle limitate attività di riordino delle aule e dei bagni, contrattualmente dovute in base al mansionario adottato con deliberazione della Giunta comunale. Chiedevano, pertanto, che venisse riconosciuto il loro diritto, fondato sull'art. 36 cost., a percepire la giusta retribuzione per dette mansioni aggiuntive. Il Tribunale di prime cure accoglieva integralmente le domande. La sentenza veniva solo parzialmente riformata dalla Corte di Appello che stabiliva un diverso criterio di compenso aggiuntivo. Ricorre il Comune. La Cassazione, nella recente sentenza n. 25246/2015, sez. lavoro (qui sotto allegata), rileva che la Corte territoriale ha basato la decisione esclusivamente sul mansionario aziendale senza alcun cenno alla classificazione del personale effettuata dalla contrattazione collettiva di comparto, classificazione alla quale neppure i ricorrenti avevano fatto riferimento, giacché avevano fondato la loro domanda solo sul mansionario approvato dalla Giunta municipale. La Suprema Corte rileva che l'art. 52 del d.lgs n. 165/2001, nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie (ma anche l'attuale testo è conferente), prevede che il prestatore di lavoro deve essere adibito "alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi". Gli artt. 2 e 45 del decreto riservano, poi, alla contrattazione collettiva la definizione del trattamento economico fondamentale ed accessorio, escludendo che il datore di lavoro pubblico, nel contratto individuale, possa attribuire un trattamento diverso, anche se di miglior favore per il dipendente. La Corte evidenzia che la disciplina del pubblico impiego, seppur privatizzata, deve tener conto delle immanenti peculiarità relative alla natura pubblica del datore, il quale nella organizzazione del lavoro è condizionato dai vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse. Di conseguenza, a differenza di quanto accade nell'impiego privato, il datore di lavoro pubblico, nell'esigere le mansioni da parte del lavoratore, ha solo "la possibilità di adattare i profili professionali, indicati a titolo esemplificativo nel contratto collettivo, alle sue esigenze organizzative, senza modificare la posizione giuridica ed economica stabilita dalle norme pattizie, in quanto il rapporto è regolato esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato. È conseguentemente nullo l'atto in deroga, anche "in melius", alle disposizioni del contratto collettivo, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perché viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi dell'art. 21-septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, dovendosi escludere che la P.A. possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva". Infine si sottolinea che il datore di lavoro pubblico incontra precisi limiti nella determinazione del trattamento economico spettante al personale, poiché detta voce di spesa deve essere "evidente, certa e prevedibile nella evoluzione" (art. 8 decreto), con la conseguenza che il trattamento economico non può che essere quello definito dai contratti collettivi (art. 45, commi 1 e 2 decreto), la cui conclusione è assoggettata ad un rigoroso procedimento di determinazione degli oneri finanziari conseguenti (art. 47 decreto). Dai principi di diritto richiamati, infatti, discende innanzitutto che il parametro di riferimento per la stessa configurabilità in astratto di una "prestazione aggiuntiva" deve essere il sistema di classificazione dettato dalla contrattazione collettiva, giacché la mansione potrà essere considerata ulteriore rispetto a quelle che il datore di lavoro può legittimamente esigere ex art. 52 d.lgs 165/2001 solo a condizione che la stessa esuli dal profilo professionale delineato in via generale dalle parti collettive, non già nella diversa ipotesi in cui, a fronte di un inquadramento che comporti una pluralità di compiti, il datore di lavoro, nell'ambito del normale orario, eserciti il suo potere di determinare l'oggetto del contratto dando prevalenza all'uno o all'altro compito riconducibile alla qualifica di assunzione. Da ciò si ricava, argomentando a contrariis, che una disparità di trattamento tra i dipendenti pubblici dello stesso comparto contrattuale, con medesimo inquadramento, può sussistere ove giustificata dal CCNL di riferimento, come ha stabilito la stessa Corte nella sentenza n. 18096 del 15 settembre 2015. |
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