Data: 21/01/2016 18:30:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Qualora, al momento della liquidazione del danno biologico, la persona offesa sia deceduta per una causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell'illecito, alla valutazione probabilistica connessa con l'ipotetica durata della vita del soggetto danneggiato va sostituita quella del concreto pregiudizio effettivamente prodottosi, cosicché l'ammontare del danno biologico che gli eredi del defunto richiedono iure successionis va calcolato non con riferimento alla durata probabile della vita del defunto, ma alla sua durata effettiva

Lo ha disposto la Corte di Cassazione, sez. III Civile, nella sentenza n. 679/2016 (qui sotto allegata) depositata il 18 gennaio. 
Il ricorso alla Corte è presentato da moglie e figlio, nella loro qualità di congiunti nonché eredi, di un uomo defunto dopo due anni dall'intervento per un tumore benigno al cervello, determinatosi in conseguenza del tardivo trattamento di un idrocefalo. 

Dall'azienda ospedaliera i ricorrenti ottengono in primo grado il risarcimento del danno non patrimoniale, spettante iure hereditatis per l'invalidità temporanea e permanente (in ragione del 60%), subito dal loro congiunto (all'epoca dei fatti, di anni 75), nonché ulteriore somma quale risarcimento del danno morale ad essi riconosciuto iure proprio per la ridotta speranza di sopravvivenza del congiunto. 

Tuttavia, in sede di gravame trova accoglimento l'appello dell'Azienda sanitaria con riduzione delle somme originariamente riconosciute
Errata, per i giudici del gavame, l'attribuzione ai ricorrenti del danno morale iure proprio "per la sofferenza che la perdita del proprio congiunto ha provocato loro" a causa delle ridotte speranze di vita dell'uomo; va quindi accolta la censura di ultrapetizione e annullata per parte qua la sentenza di primo grado.

Per gli Ermellini tale statuizione va confermata, poiché, in primo luogo, "l'interpretazione del contenuto della domanda rientra nei compiti del giudice di merito", e inoltre l'accertamento tecnico preventivo "aveva escluso che la morte dell'uomo fosse riconducibile con certezza o, anche, con congrua probabilità al trattamento sanitario, non adeguato ricevuto (quantunque vi fosse un'apprezzabile perdita di chance in rapporto dalle probabilità di sopravvivenza del paziente rispetto all'insorgenza di malattie potenzialmente letali".

La difesa lamenta, inoltre, una supposta equiparazione dell'inabilità temporanea a quella permanente avendo il giudice scelto nel caso di specie un parametro risarcitorio pari a € 110,00 (ovvero lo stesso importo riconosciuto quale risarcimento del danno giornaliero per l'inabilità temporanea totale) per ogni giorno di sopravvivenza dalla data del trattamento sanitario all'intervenuta morte, ovviamente secondo la percentuale riconosciuta a titolo di lesioni permanenti (60%).
In realtà, l'operazione è stata effettuata correttamente in quanto le lesioni invalidanti non erano da porre in relazione causale con il decesso e in base all'ulteriore considerazione che la durata di tale danno permanente era accertato in gg. 693.  

Infatti, "l'incidenza della menomazione permanente sull'esplicazione della sua personalità andava risarcita non già con calcolo probabilistico sull'aspettativa di vita residua, bensì sull'effettiva durata della vita successiva", motivi per cui è stato adottato il controvalore giornaliero pari a 110,00 euro. 

Nonostante venga, inoltre, lamentato il mancato impiego delle tabelle di Milano nella liquidazione del danno, il Collegio ritiene che la valutazione, necessariamente operata in via equitativa, non risulti "palesemente inadeguata" (unico caso, secondo un condivisibile orientamento, in cui sarebbe sindacabile in sede di legittimità l'ammontare del risarcimento).  
In conclusione il ricorso va rigettato. 

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