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Data: 26/01/2016 18:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Per annullare l'accertamento da Redditometro non basta provare la sussistenza di un atto di donazione, poiché si rende necessario che l'entità dei redditi derivanti dalla liberalità e la durata del loro possesso risultino da idonea documentazione. Lo ha disposto la Corte di Cassazione, sez. VI Tributaria, nella sentenza n. 916/2016 (qui sotto allegata). Ricorre dinnanzi al Palazzaccio l'Agenzia delle Entrate contro una sentenza della Commissione Tributaria Regionale riguardante l'impugnazione di avvisi di accertamento. Secondo il Fisco, il giudice tributario aveva errato nel pronunciarsi a favore della contribuente, lavoratrice dipendente, evincendo che nel periodo contestato la donna aveva ricevuto una donazione da parte della madre, quindi venendosi a creare una massa finanziaria intassabile. L'Agenzia, sostiene invece che è mancata ogni indagine circa il necessario assolvimento dell'onere probatorio, da parte della contribuente, fondato sulla produzione di idonea prova documentale circa l'affermata esistenza della liberalità Per i giudici di Cassazione la censura è fondata. Gli Ermellini chiariscono come il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, abbia disciplinato il metodo di accertamento sintetico del reddito prevedendo, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. n. 413 del 1991, e il D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010), da un lato, la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento. Sostanzialmente, l'accertamento si basa sui presunti consumi, ma la normativa contempla anche le "spese per incrementi patrimoniali", cioè quelle - di solito elevate - sostenute per l'acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Tuttavia, rimane in ogni caso salva la possibilità di prova contraria, "consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore". La Cassazione, nella recente pronuncia 8995/2014, ha chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sintetico ex art. 38 DPR 600/1973, affermando che "l'accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente e costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che l'entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione" Quindi non basta la mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte): anche se non è previsto esplicitamente di dover provare che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si richiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In questo modo va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della "durata" del relativo possesso: tale previsione "ha l'indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacita contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi". Nella specifica ipotesi di liberalità, poi, la Corte di legittimità ha stabilito che "nell'ambito dell'accertamento sintetico la prova delle liberalità che hanno consentito l'incremento patrimoniale deve essere documentale e la motivazione della pronuncia giurisdizionale deve fare preciso riferimento ai documenti che la sorreggono ed al relativo contenuto" (cfr. Cass. n.24597/ 2010; Cass. 6397/2014). La sentenza impugnata ha, genericamente, affermato che la contribuente aveva dato atto della maniera in cui era venuta in possesso dei beni a lei intestati, reputando sufficiente la dedotta liberalità ad opera della madre. In pratica il provvedimento ha mancato di valutare se detta "donazione" fosse idoneamente documentata e, soprattutto, fosse fornita della prova della permanenza nel tempo del possesso dei relativi redditi. Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio al Giudice di merito affinché provveda al riesame della vicenda processuale ed a regolare le spese processuali.
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