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Data: 29/01/2016 09:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli di Valeria Zeppilli - Con l'ordinanza numero 1588 del 27 gennaio 2016 (qui sotto allegata), la Corte di cassazione è tornata a precisare che se il coniuge superstite permane nella casa familiare che, anche solo parzialmente, era di proprietà del de cuius, tale sola circostanza non può ritenersi di per sé una manifestazione di possesso dei beni ereditari. Essa, infatti, potrebbe anche rappresentare un mero esercizio dei diritti di abitazione e di uso. Come ricordato dalla stessa Corte nell'ordinanza in esame, del resto, già con la sentenza numero 1920 del 2008 la Sezione tributaria si era espressa in tal senso, precisando che i diritti di uso e di abitazione, che l'articolo 540 del codice civile pone a vantaggio del coniuge superstite, non sorgono in capo a questo a titolo successorio-derivativo. Essi, piuttosto, derivano da un diverso titolo, costitutivo, connesso alla qualità di coniuge e del tutto estraneo rispetto ai diritti successori. Insomma, il titolo in base al quale il coniuge superstite è abilitato al possesso della casa familiare trova la sua giustificazione nella predetta norma del codice civile, che lo attribuisce indipendentemente dalla qualità di erede. Peraltro, il diritto di abitazione è un diritto che, semmai, è acquisito in forza di legato ex lege. Così, sulla base di tali argomentazioni, i giudici della sesta sezione civile, con l'ordinanza depositata in questi giorni, hanno rigettato il ricorso proposto da Equitalia avverso la sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Liguria aveva annullato la cartella notificata a una contribuente per la riscossione di un debito tributario del marito defunto. Tale cartella, infatti, non teneva conto del fatto che l'erede aveva rinunciato all'eredità: non potendosi ritenere una manifestazione di possesso dei beni ereditari il solo fatto della permanenza del coniuge superstite nella casa familiare del de cuius, le ragioni di Equitalia non possono trovare accoglimento. |
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