Data: 07/02/2016 17:00:00 - Autore: Avv. Francesco Pandolfi

Avv. Francesco Pandolfi - Leggendo le sentenze amministrative in tema di revoca del porto di armi, di divieto generico del porto d'armi e piena affidabilità sul non abuso, commentiamo oggi una pronuncia del Tar Perugia, la n. 228/15, con la quale i magistrati accolgono il ricorso dell'interessato che si era visto destinatario di una revoca prefettizia avente ad oggetto tanto il decreto di approvazione della nomina a guardia particolare giurata quanto del porto di pistola con relativo libretto, mancando i requisiti soggettivi ex art. 138 T.U.L.P.S.

Nel caso esaminato, i tratti essenziali della difesa del ricorrente sono stati questi: eccesso di potere per mancanza di valida motivazione e carenza di istruttoria, inidoneità dei fatti rappresentati dall'Amministrazione per supportare la revoca, automatismo amministrativo nell'emettere il provvedimento basato sulla sola denuncia presentata contro il ricorrente ma sfornita di elementi di prova atti a dimostrarne la penale responsabilità.

Dal canto suo l'Amministrazione, costituendosi in giudizio, ha dedotto (come sovente accade in questo tipo di cause) la finalità preventiva del provvedimento finalizzata ad evitare reati e fatti lesivi della sicurezza pubblica, oltre alla sufficienza della denuncia per giustificare il provvedimento in quanto sussiste la possibilità di abusi nell'utilizzo dell'arma.

Ora, su queste premesse processuali, il tribunale ha dato ragione al ricorrente.

Vediamo quindi il cuore della sentenza.

L'avveduto Tar premette l'esistenza di un orientamento ormai granitico della giurisprudenza, in forza del quale la revoca dell'autorizzazione del porto d'armi può essere sorretta anche da valutazioni della capacità di abuso basate sul "fumus".

Si tratta di un assunto che muove dalla considerazione della recessività della sfera di libertà dell'individuo rispetto al bene della sicurezza collettiva.

Ancora, ricorda il tribunale che il porto d'armi è solamente un'eccezione al divieto di portarle, come del resto consacrato nell'art. 699 codice penale e art. 4 comma 1 l. 110/75: l'ordinamento ha cioè previsto tale situazione, chiarendo che l'eccezione di cui parliamo può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta sicurezza circa il buon uso delle armi.

Orbene, se queste sono le premesse generali, nel caso trattato il provvedimento del Prefetto risulta emanato a fronte di una sola denuncia penale ai danni del ricorrente (fattispecie in tema di minacce, ingiurie e percorre in danno di un collega), in totale mancanza di elementi atti a dimostrare la verità dei contenuti dell'atto accusatorio.

Inoltre, nel carteggio non emerge alcun argomento che sia idoneo a reggere il giudizio di pericolosità.

Pertanto, se pur è vero che in astratto la denuncia potrebbe giustificare il giudizio di inaffidabilità, nel caso concreto l'accusa è assolutamente isolata e non sorretta da rapporti di polizia, testimonianze, confessione; al contrario il ricorrente ha presentato una denunzia per calunnia contro l'accusatore.

In definitiva, se questa è la ricostruzione della vicenda reale dopo il suo astratto inquadramento giuridico, per il Tar il giudizio dato dall'Autorità di pubblica sicurezza risulta approssimativo e debole, anzi appare emesso con eccesso di potere mancando una concreta valutazione della (presunta) pericolosità e inaffidabilità del ricorrente.

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