Data: 02/02/2016 19:03:00 - Autore: Marina Crisafi

di Marina Crisafi - Non scatta il reato di diffamazione aggravata se l'utente si limita a condividere i post offensivi in un gruppo Facebook mettendoci di suo solo un commento critico privo di insulti. Questo perché pur aderendo, con la sua voce, alla critica nei confronti della persona presa di mira, non usa le stesse forme illecite scelte dagli altri utenti sul social network. A stabilirlo è la quinta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 3981/2016, pubblicata il 29 gennaio scorso (qui sotto allegata), accogliendo il ricorso di un uomo condannato in appello per il reato di diffamazione aggravata a danno di un utente (probabile collega di lavoro), per aver aderito alla discussione sulla rete Facebook postando un messaggio ritenuto offensivo della reputazione di quest'ultimo.

Per gli Ermellini, contrariamente a quanto sostenuto dal sostituto procuratore generale, l'uomo è innocente.

È evidente infatti che l'imputato pur condividendo le ostilità dimostrate dagli altri verso la persona presa di mira, non si unisce al coro e la sua condotta rimane priva di intrinseca portata offensiva. Né può desumersi altrimenti, ritenendo la stessa "indirettamente e implicitamente adesiva a quella diffamatoria" commessa dagli altri solo per il contesto in cui l'opinione critica ma inoffensiva dell'imputato sia inserita. In tal modo, infatti, affermano da piazza Cavour, si attribuirebbero "all'art. 595 c.p. contenuti ultronei rispetto a quelli effettivamente ricavabili dalla lettera della disposizione incriminatrice – finendo – per negare qualsiasi effettività alla libertà di manifestazione del pensiero garantita dall'art. 21 Cost.".

Per cui, è irrilevante che l'imputato condividesse o meno gli insulti postati dagli altri, visto che la sua condotta materiale non evidenzia oggettivamente alcuna adesione ai medesimi, rilanciandoli direttamente o anche solo indirettamente. È evidente, infatti, che, condividendo o meno le critiche, non ne ha condiviso le forme illecite attraverso cui gli altri le avevano promosse, limitandosi ad esercitare il suo diritto di manifestare un'opinione apertamente ostile ma non offensiva nei confronti della parte offesa, senza "voler amplificare attraverso il proprio comportamento" le condotte lesive degli altri utenti. Da qui, l'annullamento della sentenza senza rinvio perché il fatto non sussiste.


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