Data: 02/02/2016 21:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli
di Valeria Zeppilli – Il 29 gennaio scorso, la Corte costituzionale ha depositato un'importante sentenza per gli avvocati: la numero 13/2016 (qui sotto allegata).

Con essa, in particolare, la Consulta ha sancito che nel caso in cui si debba procedere alla liquidazione di onorari relativi al patrocinio di cause che, durante il loro protrarsi, hanno visto succedersi tariffe professionali diverse, la tariffa da prendere come riferimento è quella vigente al momento in cui si è esaurita la prestazione professionale.

Di conseguenza, la diminuzione dei compensi legali di un terzo non opera per le prestazioni che si sono concluse prima del 2014.

A essere censurati dinanzi alla Corte, in particolare, sono stati l'articolo 106-bis del Testo unico in materia di giustizia, introdotto dalla legge di stabilità 2014, e il comma 607 dell'articolo 1 di tale ultima legge, nella parte in cui disporrebbe che la riduzione di un terzo dei compensi dovuti al difensore si applichi anche con riferimento agli onorari liquidati per prestazioni già interamente compiute prima della sua entrata in vigore.

Tali norme, come censurate, violerebbero il principio di uguaglianza e gli articoli 35 e 36 della Costituzione.

Secondo il giudice rimettente, più in particolare, il giudice della liquidazione, nel compiere la sua attività, dovrebbe riferirsi al regime vigente al momento del relativo provvedimento.

Ma per la Corte costituzionale tale assunto è errato: come visto, infatti, la Consulta ha piuttosto precisato che la liquidazione deve fare riferimento alla tariffa applicabile al momento della conclusione della prestazione professionale dell'avvocato.

L'articolo 1, comma 607, della legge di stabilità 2014, insomma, va letto in armonia con la fisiologia del procedimento di liquidazione e, dunque, in maniera tale da adeguarsi alla regola della concomitanza tra le tariffe professionali e l'epoca in cui la prestazione è stata svolta e alla regola della concomitanza tra termine dell'attività difensiva, domanda di compenso e relativo provvedimento giudiziale.

Le censure sollevato dal giudice a quo, proprio in conseguenza dell'erroneo presupposto interpretativo, devono quindi considerarsi infondate.


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