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Data: 07/02/2016 15:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Il danno esistenziale può essere risarcito solo se sia stato leso uno dei diritti garantiti dalla Costituzione impedendo il soddisfacimento di interessi primari (diritto a una casa, al nutrimento, allo studio, alla salute). Non sussiste un simile pregiudizio nel caso della lavoratrice che lamenti il ritardo dell'INPS nella corresponsione del trattamento economico di maternità. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 2217/2016 (qui sotto allegata), rigettando il ricorso di una donna, dipendente di una srl, contro l'Istituto previdenziale, teso a vedersi risarcire il danno esistenziale patito per effetto della ritardata corresponsione della prestazione previdenziale di maternità. Tuttavia la sua richiesta appare ingiustificata secondo i giudici di legittimità. Per gli Ermellini "è pur vero che il danno esistenziale, recuperato non già come categoria autonoma, bensì come componente o criterio di liquidazione del più generale danno non patrimoniale, risarcibile ex art. 2059 c.c., può - in forza dell'art. 115 cpv. c.p.c. - essere desunto da massime di comune esperienza". Tuttavia, è pur sempre necessario, al di fuori di espressa previsione legislativa o di condotta astrattamente configurabile come reato, che il fatto illecito abbia leso diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell'art. 2059 c.c., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso diessere tale e, cioè, di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile). La lesione deve, inoltre essere grave, nel senso che l'offesa deve superare una soglia minima di tollerabilità (imposta dal dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.) e il danno non deve essere futile, vale a dire consistente in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita o alla felicità. Va escluso che il mero pregiudizio alla qualità della vita sia risarcibile e che possa considerarsi grave o intollerabile il danno (sempre non patrimoniale) conseguente al mero ritardo nell'adempimento d'una prestazione previdenziale. In tal senso, le difficoltà economiche allegate dalla ricorrente quale effetto del ritardo nel percepire il trattamento previdenziale possono astrattamente determinare negative ricadute di ordine patrimoniale e/o incidere sulla qualità della vita, ma non possono assurgere ad intollerabile lesione della dignità umana, a meno che non risulti provato che in concreto abbiano impedito il soddisfacimento di interessi primari (come potrebbero essere, ad esempio, quelli alla casa, al nutrimento, allo studio, alla salute etc.). Il ricorso va pertanto rigettato. |
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