Data: 15/02/2016 18:56:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - A integrare il reato di molestia sono sufficienti ripetute telefonate nel cuore della notte: lo ha stabilito la prima sezione del Tribunale di Taranto nella sentenza n. 721/2015.
La controversia aveva avuto origine da una denuncia presentata dall'imputato contro l'avvocato incaricato di gestire la causa di separazione tra lui e l'ex moglie e contro la stessa ex.
L'uomo, nella sua denuncia, sosteneva che il legale fosse colpevole di averlo offeso telefonicamente, ma, appreso il contenuto della denuncia, le parti denunciate presentavano una controdenuncia: la donna, in particolare, evidenziava di aver ricevuto dall'imputato diverse telefonate, circa sette/otto, nel lasso temporale che va dalle otto di sera alle cinque di mattina.
Sono le risultanze processuali a evidenziare in capo all'uomo la sussistenza della responsabilità circa il reato previsto dall'art. 660 c.p.: l'imputato, infatti, ha ammesso in sede di interrogatorio di aver telefonato all'ex ripetutamente durante la notte, chiamate che sono apparse "animate da petulanza e comunque da un biasimevole motivo che era appunto duello di indurre la ex a rinunciare al mandato difensivo".
Per i giudici sussiste il reato di molestia, trattandosi di un illecito "non necessariamente abituale, potendo essere realizzato anche con una sola azione di disturbo"; ciò che rileva è che la condotta sia caratterizzata da "petulanza o da altro biasimevole motivo, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce per interferire nella sfera della quiete e della libertà della persona offesa".
Pertanto, l'imputato è responsabile del reato in epigrafe.

Tutte le notizie