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Data: 19/02/2016 15:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli di Valeria Zeppilli – Il lavoratore che ottiene i benefici di cui alla legge numero 104/1992 durante il periodo di aspettativa non retribuita per malattia non può essere licenziato per superamento del periodo di comporto se, al termine di tale periodo, non rientra a lavoro. Con la sentenza numero 3065/2016, depositata il 17 febbraio scorso (qui sotto allegata), la Corte di cassazione ha respinto il ricorso presentato da una società datrice di lavoro nei confronti della sentenza con la quale la Corte di appello di Roma aveva rigettato il reclamo presentato dalla stessa avverso la condanna alla reintegra di una sua ex lavoratrice nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità. Più precisamente, la società aveva licenziato la donna per licenziamento del periodo di comporto, dato che la stessa non era rientrata a lavoro dopo il periodo massimo concessole. Nel fare ciò, tuttavia, non aveva tenuto conto del fatto che prima dell'ultimo giorno di aspettativa non retribuita, la lavoratrice aveva chiesto e ottenuto il riconoscimento di uno stato di handicap grave e il conseguente diritto ai permessi riconosciuti dall'articolo 33 della legge 104. Presentata istanza per la fruizione dei permessi, questi le erano stati accordati proprio l'ultimo giorno previsto per il godimento dell'aspettativa. A tal proposito, a nulla vale il tentativo della società di dare rilevanza al ritardo nella trasmissione da parte dell'Inps della comunicazione di concessione dei benefici: giustamente, infatti, la corte territoriale ha evidenziato che tale ritardo non può di certo andare a danno della dipendente. Nell'analisi della questione, infine, i giudici di legittimità hanno precisato che la fruizione dei permessi di cui alla legge 104/1992 presuppone solo l'attualità del rapporto, mentre la legge non prevede come ulteriore condizione anche il previo rientro in servizio dopo un periodo di assenza per malattia o aspettativa. La condanna alla reintegra, insomma, resta.
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