Data: 21/02/2016 20:10:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Se il dipendente si trova a lavorare in una situazione costante di stress a causa dei comportamenti ostili dei superiori, deve essergli risarcito il danno da straining, e non da mobbing, se trattasi di vessazioni saltuarie e prive del requisito della continuit�.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 3291/2016 (qui sotto allegata) occupandosi del caso di una dipendente di un'Azienda Ospedaliera che aveva agito in giudizio per vedersi risarcire il danno da demansionamento e da mobbing.

In sede di gravame, era stata respinta la prima domanda e confermato invece il diritto al risarcimento dei danni in relazione ad una situazione di stress lavorativo subito dalla dottoressa facendo richiamo alla responsabilit� ex art. 2087 c.c. secondo cui "L'imprenditore � tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarit� del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrit� fisica e la personalit� morale dei prestatori di lavoro".
Il danno da dimensionamento veniva escluso dal giudicante in quanto non emergeva alcun danno alla professionalit� della donna, incaricata quale responsabile di una struttura, bench� nel primo periodo successivo al trasferimento vi fossero state indubbie difficolt� logistiche e organizzative.
Quanto all'ipotizzato mobbing, la Cassazione condivide la sentenza appellata laddove ha escluso che la riorganizzazione del reparto sia stata finalizza a danneggiare la dottoressa, il cui impegno part-time limitava, di fatto le mansioni che le potevano essere affidate. Allo stesso tempo ha dato risalto al fatto a due episodi: uno in cui il primario ha reagito con un atteggiamento aggressivo culminato nel gesto di stracciare la relazione di consulenza della ricorrente che avrebbe dovuto essere allegata a una cartella clinica e l'altro di mancata consegna da parte dello stesso primario della scheda di valutazione della dottoressa.
Si tratta di episodi che non possono aver dato luogo a un vero e proprio mobbing, mancando l'elemento della oggettiva frequenza della condotta ostile, al di la della percezione soggettiva della dottoressa di una situazione di costante emarginazione.Ma ci� non toglie che la lavoratrice possa ottenere il risarcimento sotto altro profilo: lo straining.
Lo straining (vedi: Mobbing, bossing e straining sul posto di lavoro: quando si configurano, come riconoscerli e come difendersi) rappresenta una forma attenuata di mobbing, nella quale non si riscontra il carattere della continuit� delle azioni vessatorie, come pu� accadere ad esempi in caso di demansionamento, dequalificazione, isolamento o privazione degli strumenti del lavoro.
In tutte le suddette ipotesi, se la condotta nociva si realizza con una azione unica e isolata o comunque in pi� azioni, ma prive di continuit� si � in presenza dello straining che pu� sempre produrre una situazione stressante, la quale a sua volta pu� anche causare gravi disturbi psico-somatici o anche psico-fisici o psichici.
Mancando nel caso di specie il requisito della continuit� nel tempo della condotta, essa pu� essere sanzionata in sede civile sempre applicando l'art. 2087 c.c., ma pu� dar luogo anche a fattispecie di reato se ne ricorrono i presupposti.
La Corte d'Appello non ha violato in principio tra il chiesto e in pronunciato qualificando la condotta di mobbing quale straining, in quanto ha lasciato inalterato sia il petitum che la causa petendi e non ha attribuito un bene diverso da quello demandato, o ha introdotto nuovi elemento di fatto.
La somma riconosciuta alla dottoressa, inoltre, viene riconosciuta dalla Cassazione come congrua e non esorbitante: la liquidazione rispecchia esattamente la misura della sofferenza patita e il danno psichico permanente subito dalla dottoressa senza che questo comporti alcuna duplicazione di voci di danno.

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