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Data: 11/03/2016 21:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli di Valeria Zeppilli - I giudici, quando scrivono una sentenza, non possono non badare alla comprensibilità delle loro motivazioni. Non solo da un punto di vista sostanziale, ma anche da un punto di vista meramente formale. Basti pensare che la Corte di cassazione, con la sentenza numero 4683/2016, depositata il 10 marzo (qui sotto allegata), ha recentemente precisato che la motivazione di una sentenza è da considerarsi mancante non solo quando effettivamente il giudice la ometta. Alla stessa conclusione, infatti, deve giungersi anche quando essa sia scritta a mano e sia del tutto indecifrabile o comunque sia scarsamente leggibile e renda quindi necessario un processo interpretativo idoneo a generare equivoci o manipolazioni del contenuto del provvedimento. Anche se quella di scrivere a mano la sentenza è una prassi ormai infrequente nell'epoca della digitalizzazione del processo, essa, per stessa affermazione della Corte, non è del tutto scomparsa. Con la conseguenza che la questione riveste ancora un qualche interesse. Insomma: se il giudice scrive in maniera incomprensibile e rende così possibili diverse letture delle motivazioni di una sentenza, queste ultime vengono meno alla loro funzione essenziale, che è quella di esporre le ragioni delle decisioni adottate. Rendendo così nulla l'intera sentenza. In ogni caso, ciò non vuol dire che il fatto che l'originale della sentenza non sia formato mediante trasposizione a caratteri a stampa o comunque chiari costituisca di per sé un motivo di nullità. Sotto questo aspetto, la validità del documento motivazione è subordinata al fatto che alle parti o al giudice del grado successivo non venga richiesto un lavorio interpretativo che superi l'impegno richiesto dalla lettura. Cosa che, invece, nel caso di specie si era verificata: la sentenza, pur non del tutto incomprensibile era di difficile interpretazione. Per questo e per altri motivi occorre tornare dal giudice del rinvio.
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