Data: 16/04/2016 15:30:00 - Autore: Avv. Francesco Pandolfi

Avv. Francesco Pandolfi - Nel caso in cui: a) il Prefetto adotti nei confronti dell'interessato un provvedimento di divieto di detenzione armi, munizioni ed esplosivi di qualsiasi specie, b) tale provvedimento venga seguito da una domanda tesa ad ottenere la revoca del divieto, c) quindi l'amministrazione produca un ulteriore provvedimento con il quale viene respinta la domanda sub "b", ebbene in sede di ricorso la scelta del provvedimento da impugnare potrà condizionare il buon esito della causa.

Questo sottile principio, a prima vista banale ma molto importante, è scolpito nella sentenza n. 462 del 10.03.2016 emessa dal Tar Lecce. 

Il caso

Tizio ricorre contro il Ministero dell'Interno e il Prefetto per chiedere l'annullamento del provvedimento con il quale è stata respinta la domanda tesa ad ottenere la revoca del divieto di detenzione armi, adottato in precedenza con apposito decreto prefettizio.

Nel ricorso egli lamenta l'eccesso di potere per errore e travisamento dei fatti, mancanza di motivazione, violazione dell'art. 39 r.d. n. 773/31 (TULPS); in particolare deduce l'illegittimità del provvedimento impugnato perchè erroneamente basato sulla sua ritenuta inaffidabilità (esistenza di procedimenti penali a suo carico non correttamente valutati).

Il quadro normativo

I Magistrati premettono che il Prefetto ha la facoltà di vietare la detenzione delle armi alle persone ritenute capaci di abusarne (art. 39 TULPS): sulla base di tale semplice previsione, ai fini del diniego della licenza non occorre una condanna penale ma solo una condotta sospetta, che lasci pensare ad una capacità di abuso.

Del resto, le facoltà attribuite dalla legge al questore e al prefetto (artt. 39 e 43 r.d. 773/31) vengono messe in campo tutte le volte in cui non vi sia necessariamente un profilo penale da analizzare sulla condotta dell'interessato, ma piuttosto si tratti di saggiare la capacità di abuso dell'arma anche a fronte di sospetti (magari mai approdati verso sviluppi processuali penali veri e propri).

L'orientamento giurisprudenziale sull'art. 39

La pronuncia del Tar Lecce n. 462/2016 richiama l'attenzione sul filone giurisprudenziale tracciato dal Consiglio di Stato VI con la sentenza n. 375 del 27.01.2012: a fronte di tale orientamento la revoca dell'autorizzazione al porto d'armi e il divieto di detenzione armi hanno il solo fine di prevenire la commissione di reati e di proteggere la pubblica incolumità, situazioni a fronte delle quali l'Autorità vorrà verificare l'esistenza o meno di un potenziale pericolo di abuso dell'arma.

Quale provvedimento impugnare con il ricorso

Per apprezzare il "consiglio" che ci arriva dagli avveduti e chiari Magistrati del Tar Lecce e renderlo utile ed applicabile a casi simili, occorre fare mente locale sul modo con il quale si imposta il ricorso.

Come infatti anticipato in premessa, nel caso il Prefetto adotti nei confronti dell'interessato un provvedimento di divieto di detenzione armi, munizioni ed esplosivi di qualsiasi specie, quindi tale provvedimento venga seguito da una domanda tesa ad ottenere la revoca del divieto, infine l'amministrazione produca un ulteriore provvedimento con il quale viene respinta la domanda di revoca, ebbene optando per la contestazione del "rifiuto" opposto dall'Amministrazione alla domanda di revoca ("b") invece di impugnare il diniego a monte si proporrà una domanda di sollecitazione dell'autotutela amministrativa e non una domanda tesa ad annullare il provvedimento di divieto iniziale.

Cosa fare in casi analoghi?

Poiché l'eventuale autotutela richiesta non è obbligatoria ma solo discrezionale e volendo tener conto del dictum della sentenza in commento, occorrerà costruire l'impianto del ricorso sull'impugnazione dell'originario provvedimento di divieto di detenzione armi, evitando di criticare in seconda battuta il rifiuto dell'amministrazione sull'istanza di revoca.

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